Ogni tanto appaiono sui maggiori quotidiani italiani stralci di avvenimenti passati che tendono a richiamare l’attenzione su torbidi intrecci che hanno caratterizzato la storia politica del nostro paese. Non c’è dubbio che sarebbe opportuno che venisse portato alla luce e discusso e confrontato con fatti e testimonianze quanto è rimasto depositato nel sottosuolo del nostro primo dopoguerra, quando attività dei servizi stranieri e interferenze americane nella nostra politica erano assai rilevanti. Invece ciò non accade e purtroppo non si riesce ad afferrare il senso di certi servizi, come quello che è apparso su Repubblica alcuni giorni fa sui rapporti tra don Giussani e l’ambasciatore americano in Italia nel periodo in cui il Pci sembrava crescere (“Il patto segreto tra gli Usa e don Giussani per fermare l’avanzata del Pci in Italia”, Repubblica, 8 aprile 2013, p. 16).
Nonostante in quell’articolo si faccia riferimento a un documento riservato dell’ambasciatore, francamente non sono riuscito a capire che cosa rivela che non sia già ampiamente noto. Era ovvio che gli americani temevano in modo ossessivo la presenza del più grosso partito comunista d’Occidente e che abbiano usato ogni mezzo lecito ed illecito per contenerne il possibile successo elettorale. Ed era noto altresì che, specie in occasione delle campagne referendarie, molti sacerdoti e molti cattolici si impegnavano per contrastare la crescita di un movimento politico che consideravano avverso.
Non mi pare che, in questo tipo di contesto, rappresenti un fatto scandaloso che don Giussani abbia incontrato l’ambasciatore americano. Così come non mi sembra che il fatto che Grillo e i suoi seguaci siano ricevuti presso l’ambasciata americana di Roma sia un segno della dipendenza del grillismo dalla politica statunitense.
Tuttavia siccome un mio carissimo amico mi ha chiesto di dire quale sia stata la mia esperienza in quel periodo in cui ero dirigente politico del Pci, e specialmente in Sicilia ricoprivo un ruolo che mi faceva entrare in rapporto con tutta la realtà dell’isola, desidero raccontare ciò che io ho avuto modo di constatare soprattutto in occasione delle campagne elettorali circa il rapporto tra noi comunisti e il mondo cattolico.
In particolare nel 1974 inaugurai a Catania con Enrico Berlinguer la campagna per il referendum sul divorzio e mi trovai a ragionare proprio con lui degli orientamenti che potevano influenzare una popolazione meridionale come la nostra. Allora non venne fuori nessun particolare riferimento ad organizzazioni cattoliche che si mobilitavano contro di noi, ma al contrario erano frequenti tra noi e i sostenitori della abolizione dell’istituto del divorzio dibattiti spesso aspri ma mai aggressivi e minacciosi.
Nel 1975 fui chiamato a organizzare la campagna elettorale per il consiglio comunale e nella mia qualità di segretario cittadino, insieme a Giulio Quercini (segretario della federazione), feci lo sforzo di candidare in modo particolare esponenti del mondo cattolico e donne. Una di queste anzi, Clelia Papale, una insegnante del nostro liceo classico, entrò nella mia segreteria politica e mi raccontò dell’esperienza fatta nelle file del movimento giovanile di Cl. Un’altra, anche lei impegnata come cattolica nei quartieri popolari, fu eletta poi nell’assemblea regionale e ricoprì incarichi di rilievo anche nell’organizzazione politica del partito.
In quegli anni, tra il ’75 e il ’76, ci fu una massiccia mobilitazione dei quartieri periferici, che erano in uno stato di terribile abbandono, e che erano preda quasi totale della propaganda fascista che a Catania era il vero pericolo dal nostro punto di vista. Si costituirono diversi comitati di quartiere per rivendicazioni come la scuola e i trasporti urbani. Proprio dove vivo l’iniziativa del comitato di quartiere fu presa dai carmelitani, che avevano un convento nella piazzetta del nostro borgo, e vide nelle manifestazioni spesso uniti comunisti, cattolici e cittadini di altre appartenenze politiche.
In tutte queste occasioni di presenza nei luoghi più tradizionalmente popolari e intrisi di religiosità, non ho incontrato mai organizzazioni cattoliche che si mostrassero particolarmente ostili nei nostri confronti e tra comunisti e cattolici non c’era nel tessuto sociale alcuna animosità. Spesso per organizzare le feste di quartiere si cercava di coinvolgere il parroco perché considerato un’autorità riconosciuta.
Nel 1976, a conclusione di questo periodo di lotte territoriali, il Pci riuscì ad ottenere un salto di qualità fino a raggiungere nella mia città il 27 per cento dei voti.
Nell’84, saltando gli anni in cui sono stato impegnato a Roma, sono andato a Firenze a ricoprire una cattedra di giurisprudenza per il corso degli studenti di primo anno. Dopo qualche mese si presentarono a me un gruppo di militanti di Comunione e liberazione che chiesero di essere autorizzati a trasmettere prima della lezione annunci con i quali dichiaravano la loro disponibilità ad aiutare per tutti i problemi pratici gli studenti fuori sede. Io avevo, come ho sempre usato fare, dichiarato agli studenti la mia appartenenza al Pci, aggiungendo che avrei sempre sottolineato le parti del mio ragionamento sui caratteri della modernità più direttamente influenzata dal marxismo e che avrei comunque segnalato le tesi opposte alle mie.
Ciò nonostante gli studenti di Cl si fidavano molto di me sul piano della lealtà dei rapporti tra docente e studenti, e mi chiesero un giorno di concedere le mie due ore di lezione a un intervento in aula che don Giussani voleva svolgere presso la facoltà. Se non ricordo male don Giussani era accompagnato da un collega che insegnava filosofia del diritto anche alla Cattolica.
Ci incontrammo nel corridoio molto cordialmente e scambiammo parole di convenienza, ma anche di apprezzamento per il lavoro che facevano i ragazzi. Debbo aggiungere che ero abbastanza irritato, invece, con la direzione del partito di Firenze per la debolezza dell’organizzazione giovanile della Fgci, che non riusciva a marcare nessuna presenza nella vita universitaria. Credo anzi di aver scritto una nota dove facevo il paragone con l’attivismo costante dei giovani di Cl.
Naturalmente queste testimonianze non dimostrano che in altri contesti e in altre regioni i rapporti fossero diversi. Probabilmente saranno stati diversi in Lombardia proprio per la presenza di Formigoni che a quanto mi risulta è stato un grosso organizzatore della vita politica dei cattolici lombardi.
Probabilmente nelle zone rosse e nel Veneto i rapporti sono stati meno semplici di quanto io stia raccontando, anche perché le testimonianze che ho ricevuto sono state spesso di altri cattolici che giudicavano le posizioni di Cl fortemente anticomuniste e competitive, specialmente con loro che militavano nel nostro partito. Credo che ci sia stata più ostilità in certe aree del paese dove erano presenti preti operai e seguaci della teologia della liberazione che ovviamente si scontravano con una visione religiosa del tutto opposta alla loro. Questa è una storia che non riguarda soltanto Cl, ma la complessità della convivenza negli stessi contesti politici di cattolici schierati su sponde opposte.
Se qualcuno vuole approfondire l’influenza americana sulla politica italiana è bene che, piuttosto che dell’incontro tra don Giussani e l’ambasciatore americano, si occupi più seriamente dei rapporti tra la mafia, gli Usa e le vicende del nostro paese che sicuramente riguardano pezzi deviati dello Stato e complicità politiche. Tutti ormai sanno che da Portella della Ginestra in poi i servizi segreti americani hanno cercato di infiltrarsi e destabilizzare il nostro paese. In Sicilia specialmente Lucky Luciano, che si era occupato del sostegno mafioso alle truppe americane che sbarcavano, aveva provato a fare nascere partiti indipendentisti per la separazione della Sicilia dall’Italia che, quando questo obiettivo tramontò, non esitarono a sostenere il partito monarchico di Achille Lauro che pensava di dar vita a un nuovo Regno delle due Sicilie.
Sarebbe davvero interessante che qualcuno studiasse con attenzione cos’è accaduto in Italia nel primo dopoguerra e nella fase espansiva del partito monarchico, giacché molte delle radici malavitose della politica meridionale affondano sicuramente in quel periodo storico e in quel terreno di connubi strani, ispirati spesso da siciliani il cui ruolo politico nel separatismo rimane ancora oscuro.
È emblematico che ancora oggi la grande base militare americana sia oggetto di conflitto con le popolazioni siciliane e che proprio per la lotta a questi insediamenti militari sia stato assassinato Pio La Torre, che era tornato in Sicilia a dirigere il partito contro la pervasività mafiosa e l’influenza pesante delle strategie militari americane. Credo che l’approfondimento di questi aspetti potrebbe aiutare a capire anche il senso delle stragi che si sono verificate in Italia.
Purtroppo, nonostante sia stato spesso negato, il problema della ricostruzione della storia del nostro paese non può liberarsi delle minacciose zone d’ombra che risalgono dal passato senza affrontare il tema, per l’appunto negato, dell’esperienza tragica di un doppio Stato, come sosteneva Franco De Felice.