Ci aprono i giornali, le tv e i siti sulla cronaca quotidiana dell’ennesimo suicidio. Questa volta non è toccato all’ennesimo imprenditore, ma ad un ragazzo di 15 anni. È accaduto a Calvenzano, Bergamo. Luca si è dato la morte con un cavetto usb. Se lo è legato al collo e si è lasciato soffocare. Accanto, un biglietto: “Grazie a tutti. Scusate ma non ce la facevo più”. Problemi di scuola, o di cuore, o tutt’e due. Sfrutto a bella posta un cinismo diffuso, perché è cinico ridurre il dramma a leit motiv delle nostre lamentele e insoddisfazioni, sfruttare l’elenco dei morti per accusare lo Stato e la politica, anziché riflettere sulla nostra miseria.
Poco importa che le statistiche ci dicano che ogni anno, più o meno, i suicidi per le più svariate ragioni assommano alle stesse cifre, anche peggio; così quando scopriamo in una stagione che ogni due giorni un cane feroce azzanna un bambino, e ci scordiamo volentieri di tutti i morsi rabbiosi dei mesi precedenti e successivi. Un atto colpevole, della nostra distratta curiosità, e soprattutto dell’informazione, perché una cosa è certa, la depressione e la debolezza si nutrono di emulazione. Il gesto eclatante va in prima pagina, e trova chi immagina un appagamento almeno in una pubblicità post mortem. Vedi mai, che davanti al morto qualcuno si prenda carico di moglie e figli, riscatti con la pietà una vita sprecata e sottotono.
Ricordo un tema assegnato in seconda media, dopo una lettura frettolosa de I dolori del giovane Werther. Un gesto eroico, quello dell’innamorato respinto, immortale nel ricordo e nel rimorso dell’amata. A me sembrò la pazzia di un animo debole, malinconico, (e la melancolia era considerata una malattia, allora) e il disprezzo dell’amore e del suo oggetto: non esiste che un vero amante scelga di non vedere più la sua amata, né che amandola la abbandoni col carico di un senso di colpa così terribile. Eppure, per due secoli e tutt’oggi ci pare che il rifiuto della vita e dei suoi dolori sia il vanto di uomini coraggiosi e capaci di sfidare il destino. Perché mai? Perché bramano una morte anzitempo? Se è il destino di morte che temono, quello è per tutti, prima o poi. Dunque si fugge la paura, l’ansia, e questa se non è patologia, è debolezza, per non dire viltà.
Ho presente i miei nonni, e possono essere i vecchi che abbiamo appena sfiorato, non abbastanza per lasciarci educare dalla loro autorevole saggezza. Due guerre, una dittatura, la fame, il lavoro veniva pagato in natura, e si lavorava 12 ore. Ingiusto, insopportabile. Qualcuno tornando a casa la sera trovava la casa bombardata, e con i fagotti cercava scampo in campagna; qualcuno decise che valeva la pena lottare, e si spinse sui monti, aspettando una pallottola in fronte; qualcun altro soffrì in silenzio, sopportò tutto, sorretto dall’amore per i propri cari e dalla speranza.
Questi sono eroi. Un po’ più vicini e prosaici di quelli che abbiamo imparato ad ammirare nei fumetti, i poemi, i romanzi d’avventura. Anche lì, avrebbero dovuto lasciarci qualcosa. Chi scendeva in campo con le armi in pugno, balenando le spade; chi affrontava torture e ingiurie per non tradire, chi ha gridato viva Dio, la patria o un amore prima di chiudere gli occhi con uno schiaffo al nemico. Ettore, Enea, Pausania (Grecia, ricorda chi sei!) Orlando, Tancredi. Garibaldi e i fratelli rinchiusi nei lager, nei gulag.
Abbiamo tante prove di quanto la sopportabilità umana si possa dilatare e renderci capaci di grandezza, perché grandi sono il cuore e la ragione. Ci vuole un motivo, un ideale, un bene riconosciuto che valga la pena: questo ci manca, oggi, perché questo si è voluto estirpare dalla nostra natura e civiltà, lasciandoci in balia dei nostri umori e sentimenti, inculcandoci il pensiero atroce che tutto è relativo e che il nulla da cui veniamo è in agguato per riprenderci. Cancellando la verità, la Bellezza, l’Assoluto non resta che la nostra umanità fiacca e troppo incapace di reggere al male del mondo. Farla finita è una fuga, la sola possibile, nella solitudine che ci sovrasta.
Per questo dei tanti uomini che si ammazzano in queste splendide giornate di primavera, siamo come adulti responsabili tutti, e lo è di più chi ha responsabilità politiche ed educative. In queste bellissime giornate, nonostante la crisi e l’Europa gelida che conta i morti e la butta in sociologia, anziché interrogarsi sulla felicità dell’uomo, e su cosa la fa vivere. Mentre nelle carceri, negli ospedali, nei paesi dove la violenza e la persecuzione sfiancano, uccidono, ci sono migliaia e migliaia di uomini che desiderano vivere, sperano di vivere, lottano per vivere.