Spulciando tra i piccoli fatti di cronaca si trovano a volte storie dal valore molto particolare. È il caso della vicenda che coinvolge Kimberley e Ron, una coppia di amici del Minnesota che trentasette anni fa si promise per scherzo di sposarsi qualora entrambi fossero arrivati single a cinquant’anni. La vita è andata un po’ diversamente e oggi i due, con un matrimonio ciascuno alle spalle, hanno tuttavia mantenuto fede all’impegno, convolando in seconde nozze.
Al di là dei tratti tutti americani della vicenda, quello che è interessante in questo fatterello di provincia è l’evidenza che il matrimonio, prima di essere un sentimento, è un giudizio. Trentasette anni fa Kimberley e Ron avevano riconosciuto l’uno nell’altro una strada, un’indicazione per la vita, ma avevano lasciato perdere perché innamorati di altri, coinvolti affettivamente con altre persone. Il rapporto tra amore e matrimonio è oggi quanto mai tutto da scoprire. Può certamente fare scandalo dirlo, ma non ci si può sposare per amore. Volersi bene, amarsi, è sicuramente un motore, un motivo per cui ci si sceglie, ma è la decisione che fa la differenza. Ciò che diventa istituto giuridico non è l’amore fra i due sposi, bensì il vincolo, il legame, il giudizio che c’è fra i due: io riconosco che tu sei decisiva perché io sia più io, perché tu sia più tu. E poco importa se fra qualche primavera non ti amerò più, ti amerò diversamente o prenderò una brutta sbandata per qualcun altro: il giudizio non viene meno, non si cancella per le rughe o per il mutare delle circostanze.
Troppi matrimoni oggi scommettono tutto sull’amore, tra il compiacimento collettivo e la miopia di chi vorrebbe trasformare ogni amore in matrimonio. Ma il fondamento del matrimonio non è il bisogno affettivo, l’afflato del cuore o la paura di rimanere soli. L’amore romantico è uno dei tanti modi di amarsi, ma per costruire qualcosa c’è bisogno della tua scelta, della tua volontà. Altrimenti si passa da un matrimonio ad un altro, da un vincolo ad un altro, senza mai averne contratto davvero uno. Per scegliersi ci vuole libertà da ogni costrizione culturale e sociale, ci vuole maturità nel voler perseguire l’unità, la fedeltà e la fecondità di vita, ci vuole consapevolezza che lo scopo per cui ci si sceglie è il bene di tutti, è il desiderio di contribuire — attraverso quel giudizio — al bene di tutti. Diventando segno del fatto che nella vita niente può impedire di accogliersi, nemmeno il male che ci si fa, diventando grembo in cui prendersi cura delle mille umanità che chiedono di essere custodite e fatte crescere, diventando casa in cui ciascuno realizza se stesso non perché persegue la propria affermazione, ma perché afferma che esiste al mondo una societas, la famiglia e le relazioni, il cui bene è determinante perché si realizzi il bene dei singoli. Il tutto nasce magari una sera, magari al telefono, magari per una battuta in cui ci si promette — senza neanche sapere perché — di sposarsi. Lasciando spazio ad un’intuizione che l’amore può confermare o provocare, ma che è più di un sentimento. È la percezione improvvisa del Destino.