Piccola cronaca, né bianca né nera, trascurabile, in questi giorni di forzata distrazione estiva, giorni maledetti di stragi e di morti che crediamo lontani, e invece dovrebbero premere e assediare le nostre coscienze tiepide. Ha finito la sua corsa una donna, ancor giovane, Teresa Bazzacco di Filadelfia, che non è al di là dell’oceano, ma un paese in Piemonte, terra natale per lei e la sua famiglia.
Balzate all’onor dei giornali 16 anni fa, quando una bambina fu tolta ai genitori naturali, ritenuti dal tribunale dei minori incapaci di accudirla e gestire la sua grave disabilità. Madre e padre accettarono, visitarono quella figlia sfortunata per qualche tempo, poi le fu trovata una casa, e i giudici dissero mai più. Quella bambina, di appena otto anni, sarebbe morta per loro, e le avrebbero detto della morte di sua madre.
Sono passati molti anni, Teresa si è ammalata, e ha chiesto la cosa più ovvia del mondo: fatemi rivedere mia figlia. Solo vederla, mentendo sulla mia identità, anche dietro a un vetro scuro. Non l’ha mai pretesa, non avrebbe potuto occuparsene, devastata dal diabete e dall’incipiente cecità. Ma il sangue gridava un legame impossibile da spezzare. La vicenda ebbe qualche eco, si mossero assistenti sociali, trovarono Viviana, nome da principessa di fiaba, oggi ragazza accudita in una casa famiglia, sempre in Piemonte. Nulla, si pensò più importante tutelare la sua vita che il desiderio pur nobile di una madre. Teresa è morta, dunque, senza aver mai più rivisto sua figlia.
Non si può discutere la decisione del tribunale, né giudicarla insensibile o disumana. Non sappiamo neppure se fu corretta e comprensiva di tutti i fattori in gioco, all’inizio. Forse, si può suggerire, dato l’affetto così inossidabile di questa madre, sarebbe bastato aiutarla, e permetterle di stare accanto alla figlia. Forse ne avrebbero giovato più vite, e perfino la malattia di entrambe. Ma non sappiamo, e ci fidiamo della competenza e della buona fede di chi ha scelto per il distacco. Si tutelano sempre i minori, e pazienza per gli adulti, per le loro sofferenze, pur incolpevoli, chissà.
In questa storia, che si chiuderebbe così, con qualche riga di buon senso, c’è però da lasciar aperto qualcosa, da tenere a mente, quando si discute spesso su basi meramente ideologiche di fecondazioni eterologhe e altre diavolerie tese a soddisfare presunti diritti. Un legame di sangue non si spezza facilmente, e resiste per sempre. Sappiamo che i figli di padre e madre ignoti fanno di tutto per ritrovarli, per risalire alle loro origini, e non per curiosità o cartella sanitaria, che pure conta. Sempre di più assisteremo alla ricerca piena di nostalgia e rimpianto di madri e padri verso i figli procreati a metà, per aver donato l’utero o il seme, per essersi prestati ad essere portatori, non datori di vita piena.
Seconda osservazione, quasi en passant. L’amatissima Viviana era e resta disabile, e pare disabile grave. Quella madre che non c’è più l’ha sempre comunque pensata, e la voleva rivedere così, senza sperare che fosse guarita, senza chiedersi se fosse bella o se guardarla le avrebbe spezzato il cuore. C’è chi sostiene che per chi nasce disgraziato la vita non è vita. Per qualcuno, invece, la loro vita è importante e speciale, anche per madri così così, che non hanno saputo o potuto esserlo come avrebbero voluto o dovuto. A tante Viviane oggi si risparmia la fatica di vivere, con i loro problemi; a tanti genitori si risparmia la fatica umanissima di amarli, figli così. Anche da lontano, anche solo sfiorandoli, e rispettando la loro strada. Perché i figli non sono nostri, ci sono affidati, per il tempo che ci è dato. E ci sono dati così come sono, e se siamo madri e padri di cuore, non solo di genitali, non ci è lecito amarli di meno.