“Eravamo in centomila, allo stadio, quel dì…” Suona così un successo di Celentano, anni 60, che celebrava un derby a San Siro, quando Inter e Milan riempivano lo stadio con più facilità.
Ma anche per chi, come me, si trovava sabato sera allo stadio Helvia Recina di Macerata, poteva valere lo stesso refrain: centomila c’eravamo tutti, poco più poco meno, radunati per la Messa al termine della quale sarebbe iniziato il cammino notturno verso il santuario di Loreto.
“Che cercate?” Questo il titolo della quarantesima edizione del gesto, guidato anche quest’anno dalla voce non più limpida, ma sempre decisa, di don Giancarlo Vecerrica che ne rimane il geniale ideatore.
Julian Carrón ha rilanciato, nel suo messaggio, proprio questa domanda rivolta a bruciapelo da Gesù a Giovanni e Andrea “che lo hanno seguito” e, nel seguirlo, hanno “compreso che cosa veramente cercavano”. Si tratta dunque di una sfida che anche Papa Francesco ha invitato i giovani a raccogliere, specie in vista del Sinodo di ottobre del quale saranno loro gli indiscussi protagonisti.
Il collegamento telefonico con il santo Padre, prima della celebrazione eucaristica, pur mantenendo il tono di un dialogo familiare sostenuto con ilare entusiasmo da don Giancarlo, ha inteso tuttavia sfidare e incoraggiare tutti i pellegrini in procinto di partire: “Mi piace vedere giovani coraggiosi che si mettono in cammino alla ricerca della felicità, un bene che non è in vendita al supermercato, ma che riguarda piuttosto l’amore e il lasciarsi amare”.
Proprio questo, va detto, il tema di numerose e commoventi testimonianze: in primis quelle allo stadio, offerte da Uwa e Frank, due adolescenti nigeriani fuggiti in condizioni estreme dalla Libia e rifugiati in Sicilia dal 2016; e a seguire tutte quelle che, durante la notte, sono state proposte alternandosi ai canti e alla preghiera, in particolare quella del santo rosario.
Si è mosso dunque il popolo dei pellegrini, snodandosi lungo un percorso che suggeriva l’epopea del popolo di Israele: liberato dalla schiavitù d’Egitto e guidato da Dio stesso verso la terra promessa.
“Il pellegrinaggio è un simbolo della vita, ci fa pensare che la vita è camminare, è un cammino”, aveva suggerito Papa Francesco nella sua riflessione del 2015 ai pellegrini di allora. Ed è vero! La metafora del cammino con la vita, ha in questa notte una verifica senza paragone: e non solo per ciò che riguarda l’obbedienza puntuale a quanto indicato dalla corposa ed efficiente macchina organizzativa o la docile sequela al proprio gruppo di appartenenza per evitare il paradosso di rimanere isolati pur camminando insieme a centomila persone. La verifica cui mi riferisco ha piuttosto a che fare con quanto il Mistero fissa per l’esistenza di ciascuno: ad esempio un percorso che difficilmente coincide con quello che avresti scelto tu per raggiungere la stessa meta; altri compagni che tu avresti preferito a quelli che ti sono invece stati assegnati. Il pellegrinaggio vuole dunque mostrarti, in una sola notte, che è possibile amare chi non ti sei scelto, riconoscere chi non avevi preferito, ringraziare chi ti è sconosciuto.
Accade così che gratitudine e mendicanza si intreccino nel misterioso dialogo tra l’iniziativa di Dio e la libertà dell’uomo e, prevalendo, vincano stanchezza e demoralizzazione anche quando, nel cuore della notte, più facilmente “il nemico” assale con il volto della sonnolenza, della distrazione, del lamento.
Ma quando le prime luci dell’alba accendono di croco e d’amaranto il morbido profilo dei colli marchigiani e appare, quasi d’improvviso, vicina se pure ancor lontana, la solida mole del Santuario, il cuore si rianima e prende nuova forza dalla certezza della meta. Esplode così in un impeto singolare ed imprevedibile, il canto simbolo del pellegrinaggio: “pieni di forza, di grazia e di gloria”, i pellegrini gridano al mondo ciò che ancora una volta, lungo il cammino, hanno imparato; sono loro la vera dimora di Dio fra gli uomini, segno stabile e vivo della Sua fedeltà all’alleanza.