Cambridge Analyitica e quella che in tempi non sospetti era stata catalogata dal fondatore di Facebook in persona, Mark Zuckerberg, come “una piccola sciocchezza” si sta tramutando in uno scandalo di proporzioni planetarie, capace di mettere in discussione anche le figure più alte in grado all’interno dell’organizzazione. E se il “ribelle” capo della sicurezza informatica Alex Stamos ha da tempo preso le distanze dalla linea aziendale ed è stato cambiato di ruolo in attesa di dare le dimissioni ad agosto, fa quanto meno impressione che a rischiare il posto sia una presunta “intoccabile” come la direttrice generale di Facebook, Sheryl Sandberg. La realtà è che l’unico imprescindibile, in maniera anche un po’ ovvia, resta il fondatore Zuckerberg, che in queste ore – come rivelato dal New York Times – avrebbe anche commissionato un sondaggio sul gradimento della Sandberg. Il danno di immagine è elevatissimo e la sensazione è che qualche testa debba essere sacrificata sull’altare del bene comune, il salvataggio della piattaforma Facebook. Sarà Sheryl Sandberga a pagare per tutti? (agg. di Dario D’Angelo)
USA E UE CHIEDONO CHIARIMENTI A ZUCKERBERG
Mentre nelle ultime ore Mark Zuckerberg latita e Facebook fa registrare l’ennesima giornata difficile a Wall Street si aprono nuovi fronti di dissenso nei confronti del fondatore della piattaforma social a causa dello scandalo dei big data legato alla vendita dei dati di 50 milioni di profili a Cambridge Analytica: dopo che la Federal Trade Commission, l’agenzia governativa che negli States difende i diritti dei consumatori, aveva annunciato di aver aperto una inchiesta, è proprio da Oltreoceano che arriva un nuovo aggiornamento e questa volta direttamente dalla Casa Bianca, anche se non direttamente dall’attivissimo profilo Twitter di Donald Trump: a parlare è stato tuttavia il vice-portavoce dello staff del Presidente degli Stati Uniti, sottolineando come la cessione dei dati personali dei propri utenti da parte di Facebook costituisca una violazione dei diritti alla privacy di milioni di cittadini americani, non tutelati nella circostanza. Insomma, Mark Zuckerberg, come mai era accaduto in passato, si trova al centro di una sorta di fuoco incrociato senza avere stavolta una “sponda” istituzionale a cui appoggiarsi. A stretto giro di posta dopo la nota arrivata da Washington, va registrato anche il tweet pubblicato dal Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani che, rivolgendosi direttamente al CEO della compagnia, ha reso nota la volontà da parte dell’organo comunitario di dare udienza Zuckerberg per parlare dello scandalo: “Facebook ha bisogno di chiarire davanti ai rappresentanti di 500 milioni di europei che i dati personali non vengono utilizzati per manipolare la democrazia” ha cinguettato Tajani. (agg. di R. G. Flore)
We’ve invited Mark Zuckerberg to the European Parliament. Facebook needs to clarify before the representatives of 500 million Europeans that personal data is not being used to manipulate democracy.
— Antonio Tajani (@EP_President) March 20, 2018
USA, LA FEDERAL TRADE COMMISSION APRE UN’INDAGINE
Sono ore sempre più movimentate per Facebook e il suo creatore, Mark Zuckerberg, dato che col passare del tempo aumentano non solo le evidenze del coinvolgimento della società nello scandalo legato ai milioni di profili “venduti” a Cambridge Analytica ma pure i fronti sui quali la piattaforma social viene attaccata. Dopo la Commissione Europea e il Parlamento britannico, adesso è anche il turno della Federal Trade Commission, ovvero l’agenzia indipendente che negli Stati Uniti si occupa di tutelare i diritti e gli interessi dei consumatori. Infatti, secondo quanto si apprende, la FTC avrebbe già aperto una indagine su Facebook, contestando una probabile violazione dei termini in merito alla gestione e, ovviamente, alla protezione dei dati personali di tutti quegli utenti iscritti al social network e che, a loro insaputa, sarebbero diventati merce di scambio al fine di influenzare le tornate elettorali (o referendarie come nel caso della Brexit) di alcune importanti democrazie europee. Secondo quanto riportato da una fonte anonima intercettata dai giornalisti del canale satellitare Bloomberg, l’indagine avviata dalla influente agenzia governativa a stelle e strisce verterebbe anche su quelle che vengono definite come condotte “poco etiche” tenute da parte di Zuckerberg e soci nei confronti di oltre 50 milioni di loro utenti. (agg. di R. G. Flore)
UNIONE EUROPEA, “L’USO PER FINI POLITICI DEI DATI E’ ORRIPILANTE”
Si allarga a macchia d’olio lo scandalo Cambridge Analytica che sta travolgendo Facebook e il suo fondatore Mark Zuckerberg. Proprio quest’ultimo continua a tacere ma è notizia di poco fa che la Commissione parlamentare britannica sulla Cultura, i Media e il Digitale lo ha convocato a testimoniare sull’ormai certo abuso dei dati di milioni di profili che avrebbe potuto condizionare anche il voto per il referendum Brexit. Non è ancora chiaro se Zuckerberg deciderà di presentarsi di fronte alle autorità di Londra o preferirà ignorare la convocazione. Nel frattempo anche l’Unione Europea ha manifestato il proprio dissenso sull’operato di Facebook. La commissaria alla Giustizia Vera Jourova, come riferito da Repubblica, ha dichiarato:”Da una prospettiva Ue, il cattivo uso per fini politici di dati personali appartenenti agli utenti di Facebook, se confermato, è inaccettabile e orripilante”. (agg. di Dario D’Angelo)
FACEBOOK, ZUCKERBERG PERDE 5 MILIARDI
Il crollo in Borsa è pesante per Facebook ma Zuckerberg è riuscito a “limitare i danni” nonostante i 5 miliardi sfumati nel giro di due giorni dopo lo scoppio dello scandalo Cambridge Analytica: il boss del social network è riuscito infatti a vendere titoli e azioni prima del disastro e ha evitato così di perderne 40 di miliardi, invece che i 5 registrati nelle ultime ore. Attualmente va detto che il fondatore di Fb detiene il 14% del capitale della società secondo uno schema, spiega Repubblica Economica, di controllo simile ad altri colossi della Silicon Valley: «Da un lato detiene soltanto lo 0,7% di azioni A, scambiabili sul mercato, e che possiedo ciascuna un solo diritto di voto. Ai valori attuali di mercato si tratta di circa 1,5 miliardi di dollari per circa 9,3 milioni di titoli». Intanto però ad essere messo sotto accusa è l’intero metodo di privacy e protezione dei dati personali di miliardi di utenti Facebook che ora vedono a rischio le proprie vite personali dopo anni che hanno sostanzialmente riversato ogni singolo aspetto della quotidianità sui social network. Lo scandalo Cambridge Analytica ha messo in luce la falla nella gestione delle informazioni da parte di Facebook, consentendo la raccolta dei dati personali di 50 milioni di utenti a loro insaputa: ebbene, con un attento “controllo della privacy” si può condividere i propri contenuti e dati sensibili solo con le persone desiderate, mentre Facebook prevede anche un “controllo della sicurezza”, funzione che consente di ricevere gli avvisi di accesso al proprio account da un dispositivo non riconosciuto. (agg. di Niccolò Magnani)
PRONTO A CROLLARE L’IMPERO SOCIAL?
E se il “datagate” fosse il cavallo di Troia con cui l’impero social di Facebook crollerà nei prossimi mesi? Visioni apocalittiche al momento si sprecano oltre Oceano e anche qui in Europa dopo il caso Cambridge Analytica che si sta abbattendo sul complesso piano tra elezioni Usa, campagna elettorale e referendum Brexit. Saper oggi cosa succedere a FB e all’impero di Mark Zuckerberg è alquanto impossibile, quello che è certo è che in due giorni le Borse mostrano un crollo importante e in termini di “comunicazione” e “immagine” l’ondata dei Big data “rubati” non sta certo aiutando l’impero social che si contrappone il mercato mondiale con Google e Apple. Dopo il caso scoppiato di Cambridge Analytica anche le istituzioni stanno provando le prime mosse e accuse contro i vertici di Fb: «Il cattivo uso per fini politici di dati personali appartenenti agli utenti di Facebook, se confermato, è inaccettabile, spaventoso», ha detto la commissaria Ue alla giustizia Vera Jourova, giunta negli States dove dovrà incontrare i responsabili della società di Zuckerberg e soprattutto i rappresentanti della Casa Bianca. Quello che è certo finora è che lo scandalo sta dando ragione a chi da tempo critica il social network per la sua scarsa trasparenza in fatto di privacy; se questo poi porterà a cambiamenti rivoluzionari nel mondo social, ancora non è dato saperlo. (agg. di Niccolò Magnani)
IL DATAGATE PER FACEBOOK
La deflagrazione è di quelle importanti, perché venire a sapere che i dati di 51 milioni di persone sono stati rubati su una piattaforma popolare come Facebook significa che la privacy online – a voler essere ottimisti – è in serio pericolo. E basta quel numero, 51 milioni di persone, a capire perché lo scandalo Cambridge Analytica – questa la società privata di consulenze che si sarebbe occupata attivamente del furto dei big data – sia il grattacapo più grande per Marck Zuckerberg dalla fondazione di Facebook. Prima c’erano dubbi, sospetti, punti interrogativi. Adesso abbiamo una sicurezza: Facebook, e probabilmente anche altri social, non sono luoghi sicuri. Lì i nostri dati sono a rischio, sempre lì siamo bersagliati di messaggi plasmati a seconda delle nostre preferenze, di fake news costruite ad arte. Si chiama “bolla”: crediamo in qualcosa? Riceveremo contenuti in linea con i nostri convincimenti. Ma il fenomeno può essere anche più perverso: perché a quanto pare Cambridge Analytica – all’epoca legata ad un certo Steve Bannon, consigliere particolare di Trump nella campagna per le Elezioni Usa – non si è appropriata dei dati di 51 milioni di persone per diletto. No, lo scopo era influenzare le campagne elettorali americane e quella per la Brexit, con l’obiettivo di far vincere Donald Trump e di portare il Regno Unito fuori dall’UE. Breve ripasso: hanno vinto Trump e i Leave. Strano no?
STAMOS, IL CAPO DELLA SICUREZZA RIBELLE
Per comprendere quanto il caso Cambridge Analytica stia creando scompiglio basta vedere cosa sta accadendo all’interno di Facebook. Il capo della sicurezza informatica, Alex Stamos, secondo il New York Times ha deciso di dimettersi entro il mese di agosto. Fosse stato per lui, a detta delle fonti consultate dal giornale newyorchese, Stamos avrebbe già lasciato il suo posto da tempo, dal momento che da ormai molti mesi non condivide le strategie messe in atto dai vertici. Per dirne una: Stamos avrebbe voluto che da parte di Facebook ci fosse stata grande chiarezza nei confronti degli utenti rispetto alle presunte interferenze della Russia sulla campagna elettorale Usa. Migliaia di falsi profili sarebbero stati creati ad arte per danneggiare Hillary Clinton. La linea ufficiale, per bocca di Zuckerberg, però, è sempre stata la seguente: negare, negare e ancora negare. Stamos, secondo il NYT, negli ultimi mesi si sarebbe progressivamente disimpegnato: il suo team di lavoro è passato da 120 a soli 3 componenti. In quest’ultima fase Stamos si starebbe occupando semplicemente di gestire la transizione: trasmettere le conoscenze necessarie per difendere la privacy di milioni di persone, evidentemente, non è impresa da poco. Su Twitter, però, Stamos ha ammesso di aver cambiato ruolo proprio in seguito alle rivelazioni del New York Times:”Nonostante i rumors, sono ancora completamente impegnato nel mio lavoro in Facebook. E’ vero, però, che il mio ruolo è cambiato. Attualmente sto spendendo più tempo nell’esplorazione dei rischi sulla sicurezza e lavorando sulla sicurezza delle elezioni“.
IL SILENZIO DI ZUCKERBERG
Ma il grande assente di queste ultime ore è lui, Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook che da 48 ore a questa parte ha deciso di restare in silenzio mentre la Borsa mandava in fumo 5,5 miliardi di dollari di ricchezza personale, portandolo ad un patrimonio di “soli” 69 miliardi, dati di Forbes, che monitora quotidianamente le finanze degli uomini più ricchi del Pianeta. Non un comunicato, non una dichiarazione a titolo personale mentre i mercati hanno chiuso la giornata di ieri con un – 6,8% che si traduce in soldoni in una perdita di 36 miliardi di dollari per il titolo, di cui Zuckerberg detiene il 16%. Ma sembra difficile che la strategia del silenzio possa durare a lungo. Perfino il Congresso Usa adesso chiede spiegazioni, perché lo scandalo Cambridge Analytica potrebbe aver interessato non soltanto la quotidianità di una piattaforma social, quanto i destini del mondo attraverso influenze illecite sul voto Usa. Roger B. McNamee, uno dei primi investitori di Facebook sentito dal New York Times, non riesce a credere a quanto stia accadendo a Zuckerberg, considerato da molti come un suo figlioccio:”Gli ho detto:’il tuo business è basato sulla credibilità e tu stai perdendo credibilità'”. Dal Regno Unito parlano di manovre per dare il via a perquisizioni sui server: Facebook sta per crollare?