La lite che originava il comportamento indegno tenuto dal boss Antonio Labate contro i vicini rumeni sarebbe avvenuta per futili motivi: secondo infatti quanto accertato dagli investigatori non ci sarebbero dubbi sulla responsabilità del boss che avrebbe dunque incendiato la casa dove abitavano ben sei cittadini rumeni con i quali aveva litigato per i rifiuti. Secondo le indagini della Polizia Mobile di Reggio Calabria, “Nino” Labate durante un litigio quella stessa mattina aveva picchiato con un bastone la donna che occupava l’immobile con i suoi ospiti, «con la minaccia di bruciarli vivi per aver abbandonato alcuni sacchetti di spazzatura accanto all’ingresso di un podere di sua proprietà», spiegano gli inquirenti nella conferenza stampa in corso d’opera. I vigile del fuoco sono riusciti a domare le fiamme quella drammatica mattina del 27 febbraio scorso, anche se per fortuna non ci sono state conseguenze nefaste per la famiglia minacciata, fuggiti tutti dalla finestra per miracolo. Tentato omicidio plurimo e incendio doloso aggravati dalle modalità mafiose sono i delitti che la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria contesta all’uomo. (agg. di Niccolò Magnani)
“NON LI VOLEVA COME VICINI”
Nella mattina di oggi è stato arrestato Antonio Labate, sessantottine calabrese, boss dell’omonima famiglia dell’ndrangheta. Il malvivente è stato fermato dalle forze dell’ordine, e portato in carcere, con l’accusa di aver dato fuoco ad una baracca dove al suo interno vi erano sei stranieri di origini romena. La sfortuna dei sei malcapitati è stata quella di trovarsi nei pressi dell’abitazione del boss di cui sopra, che proprio non li voleva nella sua zona. Più volte Labate aveva minacciato i sei, e la sera prima dell’incendio aveva pestato selvaggiamente una delle donne rumene (46 anni), che vivevano nell’abitazione di fortuna, gridandole contro che lei e il suo gruppo (di cui fanno parte anche due bambini), avrebbero dovuto andarsene da lì. Al boss dell’ndrangheta non andava bene che i sei stranieri “soggiornassero” nella sua zona, il Gebbione, quartiere a sud della città di Reggio Calabria.
I 6 SONO VIVI PER MIRACOLO
Senza farsi scrupoli, come riferito dal quotidiano La Repubblica, Labate si è recato dal benzinaio vicino con una tanica, l’ha riempita, ed ha poi dato fuoco alla baracca dei rumeni. I sei (che avevano ignorato le continue minacce), si trovavano all’interno mentre stavano festeggiando un compleanno, e fortunatamente sono riusciti a scappare prima che la situazione degenerasse, fuggendo da una finestra sul retro, che dava su un cortile con delle alte mura. L’arrivo dei vigili del fuoco ha quindi domato l’incendio e salvato il gruppo. Le forze dell’ordine hanno subito sospettato che l’incendio fosse doloso, e sono andati a visionare i filmati delle telecamere vicine al benzinaio, in cui si notava proprio Labate arrivare in bicicletta con una tanica vuota, e poi riempirla dopo aver fatto rifornimento. Il clan di Reggio Calabria vuole decidere chi può vivere o meno nelle loro zone, una manifestazione di arroganza che non spetta a loro, ma che è stata messa in pratica proprio nelle scorse ore con la violenza.