Sarebbe impensabile, al limite quasi grottesco, immaginare che esista una strategia programmata e meditata del terrorismo islamista. Non mancano neppure i “pierini” che pensano ai grandi complotti e speriamo che non diventino poi, nell’immaginazione, “giudaico-massonici”, altrimenti arriva uno con i baffetti che sistema tutti per le feste. Pensare che attraverso una “rete” o diverse “reti” in collegamento tra loro, si decida di colpire questo o quel paese europeo, questa o quella città dell’Occidente, guardando le situazioni che si vivono nei singoli Stati sarebbe azzardato fino al limite dell’assurdo.
In realtà, lo stato islamico, l’Isis, che sta soffrendo sul terreno di quella che può essere considerata quasi una guerra convenzionale e che vede ridurre i suoi confini statuali, lancia i suoi appelli di guerra e vendetta contro i crociati di tutto il mondo, in nome di Allah, in un modo che è blasfemo per la stragrande maggioranza degli stessi musulmani, e colpisce dove si presenta l’occasione con i giovani radicalizzati, di prima o seconda generazione, che vivono in Occidente.
Il nuovo attentato di Londra, fatto con una duplice azione di portata imprevedibile e impossibile da contenere, mette di fatto in grande apprensione la capitale britannica, la città cosmopolita per eccellenza, simbolo di uno Stato che sta attraversando un momento politico complicatissimo e difficile, in pieno periodo elettorale dopo essere aver optato per la Brexit, l’uscita cioè dall’Unità europea. Ed è il secondo attentato nel giro di dieci giorni.
A Manchester, in modo coraggioso, si commemora, con una “sfida per la vita”, la strage dei giovanissimi al concerto di Ariana Grande, a Londra si sceglie il solito veicolo che viene lanciato sulla folla e poi dei killer suicidi corrono per strada e, armati di coltello, si avventano sui passanti, senza fare distinzioni, con il semplice intento di ammazzare.
Di fatto, queste elezioni anticipate volute dalla nuova leader tory, Theresa May, sono state condotte in parte senza campagna elettorale e sono bagnate dal sangue. Gli attentati potrebbero riservare sorprese, ma non mutano l’analisi di fondo, e c’è da ritenere che presto altri Stati dovranno fare i conti di nuovo con il fondamentalismo islamista.
Solo una settimana fa, un grande allarme era scattato anche in Germania e non c’è paese europeo che non riveda, al momento, i suoi meccanismi di intelligence, di deterrenza e di leggi contro il terrorismo o, meglio si dovrebbe dire, contro questa guerra asimmetrica, a “strappi”, che ha tutte le caratteristiche di una nuova guerra mondiale.
Pur perdendo terreno, l’Isis (che potrebbe essere almeno decapitata nel suo gruppo dirigente con un’azione militare ben mirata, senza alcun dispiegamento di forze clamoroso), di fatto continua nella sua azione di logoramento contro un Occidente che sinora si è dimostrato del tutto inerte, impreparato e in molti casi diviso. Auguriamoci che non ricominci un’estate dove i colpi del terrore potrebbero arrivare in altri Paesi.
E’ vero che occorre continuare a vivere così come si è sempre fatto, è certamente giusto non rinunciare alle abitudini democratiche, ma è altrettanto vero che nervi a posto e sangue freddo non riescono sempre a nascondere paure, se non addirittura psicosi, che stanno crescendo nelle nostre anime. Il fatto avvenuto in piazza San Carlo a Torino è emblematico. Non si capisce ancora per quale ragione sia scattato un meccanismo di panico, di paura folle, che ha provocato una fuga scomposta, con migliaia di persone che pensavano di trovarsi in un attentato, che alla fine porta a un bilancio pesantissimo: millecinquecento feriti, di cui tre in gravi condizioni.
In questo caso, il logoramento che persegue l’Isis ha segnato un punto a suo favore nella paura che ha insinuato nella testa delle persone. Non è una vittoria, che è impossibile, ma è un ripiegamento della paura di fronte al terrore. E c’è da augurarsi che questa paura, che viene sconfitta in molti paesi, sia sconfitta ovunque per non provocare uno svuotamento e un impoverimento delle nostre istituzioni democratiche.
Di fronte a tutto questo, quale è la domanda di fondo? Quale è la ragione per cui si vive questo periodo? Noi ci affidiamo alle intuizioni di un grande pensatore tedesco, a un filosofo e sociologo morto recentemente, Ulrich Beck che, fin dalla metà degli anni Ottanta, ha illustrato la nuova “società del rischio”. Non si possono stabilire giudizi di merito perentori di fronte a una società che sceglie il rischio di una nuova modernizzazione tecnologica e nella stesso tempo di una globalizzazione inevitabile ma incontrollabile, essendo per sua stessa natura incontrollabile.
La “società del rischio” si è manifestata in tutta la sua ampiezza da anni e si espande con una rapidità impressionante. La sua ampiezza riguarda non solo il campo della modernizzazione tecnologica, ma di ogni tipo di situazione antropologica, sociale, legislativa. Un simile cambiamento, o meglio una tale “metamorfosi”, come ha analizzato e scritto Beck nel suo ultimo libro prima di morire, doveva presupporre forse una maturità politica che poteva almeno contenere gli inevitabili danni e contraccolpi, positivi e negativi, delle grandi svolte epocali.
Al contrario, in questo momento, la “società del rischio” è sempre sospinta, nonostante una crisi decennale devastante, da un capitalismo suicida, che fa del rischio la sua ragione principale, relegando la politica a un tramonto e una decadenza senza fine.
Un esempio? Probabilmente è stato un bene pensare a una moneta comune per l’Europa, come l’euro. Ma non era forse meglio pensare, o prima o contemporaneamente, a una intelligence comune, a una difesa comune, a un esercito comune, a una polizia comune, a una fiscalità comune, a leggi costituzionali comuni, a tribunali comuni, a fiscalità comuni e via dicendo come in qualsiasi federazione e anche in qualsiasi confederazione?