Si chiamava Anna Mazza, ma per tutti era ormai la vedova nera della camorra. Lei che questo soprannome non lo aveva mai digerito, lei che non amava farsi fotografare in pubblico, lei che il clan Moccia lo aveva “ereditato” dopo l’uccisione del marito Gennaro, nel 1977. E come spesso accade, quando si tratta di personaggi legati alla criminalità organizzata, la storia si sovrappone alla leggenda. Si dice che per quell’omicidio, “‘a signor”, come veniva semplicemente chiamata a Napoli, avesse studiato una vendetta personalmente. Fu lei, secondo gli inquirenti, ad armare di pistola il figlio Antonio, allora tredicenne, incaricandolo di scaricare i colpi su Giovanni Giugliano, presunto killer del marito. Sempre lei, diversi anni dopo, a riunire un commando all’indomani della sepoltura del figlio prediletto, Angelo, detto “Enzuccio”, rimasto ucciso in un agguato ad Afragola, e ad ordinare che i dodici pregiudicati del clan Magliulo che avevano partecipato all’esecuzione venissero uccisi.
IL MATRIARCATO
Lei che alle azioni di forza preferiva di gran lunga il racket, l’attività di sviluppo “imprenditoriale” del clan. Lei, la prima donna ad essere arrestata per associazione mafiosa che aveva impostato la struttura che dirigeva secondo una schema matriarcale. Anna Mazza che girava a bordo di una Smart rigorosamente gialla, accompagnata da una scorta di sole donne, ma che non perdonava che le sue dame di compagnia alzassero troppo la cresta. Successe alla sua capo scorta, Imma Capone, una donna bella e di carattere, che dopo aver reso la Motrer, un’azienda moribonda un fiore all’occhiello del Mezzogiorno, venne ricompensata nel marzo 2004, nella strada principale del paese, con decine di proiettili in volto: quasi a voler cancellare per sempre il viso di chi aveva tradito, di chi aveva pensato di poter fare a meno della signora della camorra. Un avvertimento per tutti: “a’ signor” non perdona.
LA STRATEGIA PER PROTEGGERE I FIGLI
All’attività di capoclan Moccia, Anna Mazza ha sempre affiancato quella di madre. Per quei figli camorristi ha sempre fatto di tutto, ma ultimamente voleva risparmiargli il carcere. Per questo, da fine stratega, quando i suoi gioielli finirono dietro le sbarre per le dichiarazioni rese dal pentito Grasso, pensò bene di richiedere l’applicazione della legge sulla dissociazione dei terroristi ai detenuti per camorra (voleva cioè uno sconto senza pentimento). Scrisse a chiunque: al Presidente della Repubblico, al Ministro della Giustizia, ai vertici della Direzione nazionale antimafia, a don Ciotti e a don Riboldi. Voleva salvaguardare l’amato Enzuccio dagli stenti della galera:”Mio figlio è stato preso dalla stanchezza, dalla nausea e dal rigetto nei confronti dell’ambiente criminale nel quale ha ammesso di aver operato per tanti anni per vendicare l’uccisione di suo padre… È stato guidato dalla volontà di dare una possibilità di vita onesta, di pace e di laboriosità ai figli“. Ma non venne ascoltata. Al contrario di quella volta in cui, inviata negli anni Novanta in soggiorno obbligato vicino Treviso riuscì ad allacciare contatti con la mafia del Brenta, a fomentare la rivolta dei politicanti del luogo che temevano infiltrazioni mafiose nel Settentrione, ottenendo addirittura che il Senato facesse entrare in vigore la legge 256 («Modifica dell’istituto del soggiorno obbligato»), disponendo l’esecuzione della misura nel luogo di dimora abituale del condannato. Così Anna Mazza torno ad Afragola, nel suo regno, accolta dalla sua scorta e del suo clan. Oggi in tanti piangono la sua morte, altri festeggiano: ‘a signor non c’è più, ma il suo clan è sopravvissuto.