Torino, un ragazzino di 15 anni originario del Gabon viene arrestato per detenzione e spaccio di 2,3 grammi di cocaina ed eroina. La procura di Torino, dove è avvenuto il fatto, fa ricorso in Cassazione chiedendo che nei confronti del giovane venga applicato il perdono giudiziale, cioè non venga condannato. Tale sentenza, dice la Procura, otterrebbe maggiore effetto di detterenza criminosa. La sesta sezione penale della Cassazione dà ragione alla richiesta: il ragazzo può essere assolto. “Va concessa una chance ai minorenni che si rendono protagonisti di piccoli reati” dice la Cassazione. “Non tanto per una questione di perdonismo, quanto per il fatto che in certi casi la prosecuzione del procedimento arreca un pregiudizio alle esigenze educative”. IlSussidiario.net ha chiesto alla dottoressa Monica Cali, già magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Catania, quindi presso il Tribunale di Sorveglianza di Torino e oggi giudice, un suo parere sulla sentenza stessa.
Il fatto di assolvere un minore non potrebbe costituire un alibi per lo sfruttamento dei minori stessi da parte degli adulti? Indurli a compiere azioni criminose sapendo cioè che non verranno condannati.
In genere i reati di spaccio, come in questo caso, sono sempre collegati a un contesto di criminalità più ampio. Ogni caso va valutato singolarmente, ma il piccolo spacciatore di norma non è mai un battitore libero. Che poi lo faccia per procurarsi da vivere è un altro discorso, ma il reato di spaccio anche per casi di minima quantità per la mia esperienza di casi analoghi lo lego a un contesto più ampio di criminalità. Quindi il pericolo che suggerisce lei si pone veramente.
A che tipo di pena sarebbe andato incontro il quindicenne in caso di condanna?
Mi occupo di sorveglianza carceraria di adulti, non di minori. Il processo minorile comunque segue regole tutte sue particolari dove la risposta punitiva rispetto a un adulto è più attenuata e prevede ipotesi di recupero alternative alla pena già in sede di esecuzione. Per i minori si ha un occhio di riguardo, si ha più cura dell’esigenza educativa.
Dunque quanto suggerisce la Cassazione nei confronti die minori ha una su logica educativa?
In realtà non la penserei così. In un Paese come il nostro che ha così poca attenzione verso i suoi giovani, mi domando in questa sentenza dove sia la vera esigenza educativa che la sentenza stessa suggerisce. Qua siamo di fronte a un caso di rischio educativo.
Quale?
Quello di non dare il giusto disvalore alle condotte poste in essere. Detto in modo banale: lo spaccio è male, è una cosa che non va fatta. Se il giovane in questione non ne ha coscienza, non ne ha consapevolezza o se non lo si induce a una consapevolezza del reato commesso, chi può farlo? Se come percorso educativo non viene punito, ma assolto, che consapevolezza può trarre dalla gravità di un comportamento comunque grave, socialmente pericoloso, come è lo spaccio di droga?
Allora secondo lei quale è il percorso giusto?
C’è il rischio che simili pronunce sviliscano veramente la portata educativa della pena. Il carcere, la restrizione, la condanna hanno una valenza positiva, ovviamente se corredate di una serie di presupposti che possano consentire un percorso rieducativo, ma un percorso va fatto. Teniamo poi conto del caso in questione, anche se va letta tutta la documentazione in ogni particolare. Ragionando su fatti statistici, data la mole di casi analoghi che vedo tutti i giorni, si parla di un extra comunitario, probabilmente senza punti di riferimento esterni: che contesto, che rete ha che lo possano sostenere? Se nessuno glielo fa capire in modo esplicito, che consapevolezza potrà avere del gesto che ha fatto? Certamente andranno pensate le massime alternative e possibilità, una volta uscito dal carcere, di percorsi educativi e di riabilitazione, ma il carcere in realtà è il presupposto stesso da dove possa partire un percorso di educazione. L’alternativa alla pena non è l’alternativa alla rieducazione. In sintesi, una sentenza come questa sembra essere un messaggio di deresponsabilizzazione.