Che cosa è la giustizia? Nessuno di noi lo sa veramente, eppure è un desiderio che tutti abbiamo dentro”.
Agnese, figlia del grande statista democristiano Aldo Moro ucciso dalle Brigate rosse, apre così il suo intervento nel corso dell’incontro tenutosi ieri in un salone del Meeting di Rimini strapieno di gente: “Così le nostre vite sono cambiate: la giustizia oltre la pena”, coordinato dal vice presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia e introdotto dal docente di criminologia Adolfo Ceretti, e a cui ha preso parte anche l’ex appartenente ai gruppi armati degli anni 70 Maria Grazia Grena.
Una domanda forte, bruciante, quella sulla giustizia, da parte di chi ha perso il padre e che, ha detto Agnese, provoca rabbia, odio, dolore e assenza sconfinata. “La strada offerta a chi ha questa domanda — ha aggiunto — è quella della giustizia penale, che certamente è necessaria, ma non basta a colmare quello di cui hai disperato bisogno: fare domande a loro, a chi ha generato morte, chiedere come è possibile che tu abbia ucciso mio padre”.
Ma davanti non hai nessuno. E’ davanti a questa apparente sconfitta, come ha sottolineato il professor Ceretti, che nasce quello che è un termine insolito: la giustizia riparativa. Neanche questa placherà certe ferite, ma permetterà, attraverso un percorso e un dialogo, di “decosizzarsi”, altro termine innovativo ma pieno di significato. Infatti sia le vittime sia coloro che hanno generato violenza, hanno concordato Agnese Moro e Maria Grazia Grena, finiscono per perdere la loro umanità: “Volevamo la vita, abbiamo generato la morte” ha detto la Grena, che comunque non ha mai sparato un colpo di arma da fuoco e ha saldato tutti i suoi debiti con la giustizia. “Pensavo di aver chiuso con il mio passato — ha spiegato — ma non è stato così finché non ho accettato di sentire l’urlo di chi ci chiedeva perché avevamo fatto quello che abbiamo fatto. Accogliendo quell’urlo sono tornata nel profondo della mia umanità”.”Sia vittime che colpevoli — ha ricordato Agnese Moro — devono tornare a essere persone”.
E’ accettando questa sfida impegnativa che le due donne hanno preso parte volontariamente a un percorso guidato e accompagnato insieme ad altri familiari di vittime del terrorismo e a ex terroristi, raccontato nel volume Il libro dell’incontro, vittime e responsabili della lotta armata a confronto, a cura di Adolfo Ceretti, Giuseppe Bertagna e Claudia Mazzucato. Solo in un dialogo, in un’apertura all’altro, nel riconoscere che “tu sei un bene per me” anche chi ci ha fatto male, è possibile la rinascita della nostra umanità. E queste due grandi donne lo hanno testimoniato con forza, nelle lacrime della Grena e nel bacio che l’ex terrorista, a inizio incontro, ha dato alla figlia dello statista assassinato. La giustizia riparativa allora, come ha detto Marta Cartabia in conclusione, “non è solo un invito ai giuristi a riconsiderare il concetto di giustizia, ma un invito a ciascuno di noi perché i conflitti non sono solo le tragedie mondiali, ma anche quelli che ci portiamo a casa, in famiglia, nei luoghi di lavoro”.