La Giornata Mondiale dell’Ambiente 2017, celebrata ieri a 43 anni dalla prima edizione lanciata a Stoccolma durante la United Nations Conference on the Human Environment, rischia di essere ricordata solo per la raffica di proclami, dichiarazioni e invettive contro la decisione di Trump di ritirare gli Stati Uniti dagli accordi stipulati alla COP21 di Parigi nel 2015.
Pochi ricorderanno lo slogan che fa da titolo alla Giornata: “Connecting People to Nature”, e ancor meno saranno coloro che avranno avuto occasioni di approfondire e riflettere su un tale slogan, valutandone gli aspetti significativi e le eventuali ambiguità. L’idea di una connessione tra uomo e natura richiama un concetto base delle scienze ambientali: quello di una interdipendenza continua e multidirezionale tra tutte le componenti di un ecosistema e quindi l’esigenza di non isolare unilateralmente un fattore come responsabile dell’evoluzione del sistema in un senso o nell’altro.
Operazione facile, quest’ultima, che esime dalla fatica di un’analisi più rigorosa e paziente e che molto spesso diventa preda di schemi ideologici che, per imporsi, fanno leva su una ipersemplificazione della realtà. Così è piuttosto facile vedere nella CO2 rilasciata in eccesso dalle attività umane la fonte di tutti i mali dell’ambiente; ma è altrettanto semplicistico minimizzare il contributo antropico al riscaldamento globale e i danni causati all’ambiente da un saccheggio indiscriminato delle risorse del Pianeta.
Questa della interconnessione globale è una delle idee forti anche dell’enciclica Laudato si’, dove Papa Francesco ripete espressamente “tutto è connesso” e sottolinea che “Quando parliamo di ‘ambiente’ facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati”.
Sull’onda delle riflessioni proposte nell’enciclica, resterebbe solo da osservare che lo slogan della Giornata dell’Ambiente 2017 avrebbe ancor più efficacia se al concetto di Natura si sostituisse quello ancor più pregnante di “Creato”: è questo che più di ogni altra considerazione morale e politica può sollecitare e mobilitare realmente le coscienze per un’azione non velleitaria di tutela di qualcosa che abbiamo ricevuto in dono e desideriamo consegnare alle prossime generazioni.
La strada per effettuare tale consegna in modo rispettoso e responsabile passa da due crocevia altrettanto decisivi, uno a livello culturale e personale, l’altro a livello politico. Il primo è quello di una “conversione ecologica”, non intesa solo come denuncia delle situazioni di degrado o, moralisticamente, come un insieme di comportamenti virtuosi, ma più profondamente come presa di coscienza nuova della realtà che ci circonda, come atteggiamento e consapevolezza che vengono ancor prima della constatazione dei guai che l’azione umana può causare all’ambiente.
Il secondo crocevia passa inevitabilmente da Parigi. Si possono muovere critiche agli accordi della COP 21 per come sono organizzati e per la complessità dei meccanismi di attuazione previsti. Lo stesso obiettivo di contenimento dell’incremento termico del Pianeta sotto i +2 °C sembra velleitario e difficilmente raggiungibile nei tempi indicati. Tuttavia se c’è una possibilità di migliorare l’accordo e di renderlo realmente operativo, questa è legata solo all’adesione all’accordo stesso, come hanno fatto i 194 Paesi che l’hanno sottoscritto. È in quel contesto, e non al di fuori di esso come faranno gli Usa, che si potranno svolgere una serie di importanti azioni.
Si potrà anzitutto avere un ambito autorevole e condiviso dove esaminare e valutare criticamente le analisi fornite dagli scienziati e avere un monitoraggio dello stato di salute del Pianeta aggiornato e il più possibile lontano dai luoghi comuni.
Si potranno verificare i programmi intrapresi dai singoli Paesi ed eventualmente denunciarne insufficienze, disomogenità e squilibri. Soprattutto si potranno stimolare e incentivare le azioni di adattamento e concertarle in modo da renderle coerenti e sinergiche. Sull’adattamento infatti, più che sulla mitigazione, si giocano le strategie che hanno più probabilità di successo: con l’adattamento si prende atto di situazioni difficilmente modificabili e si riorganizzano la società e le infrastrutture in modo da ottimizzare l’impiego delle risorse. È ciò che l’uomo ha sempre fatto nel corso della storia: si tratta ora di farlo in modo più rapido, tempestivo e diffuso prendendo atto di un ambiente in trasformazione; ma oggi abbiamo il vantaggio, rispetto ad altre epoche, di avere a disposizione strumenti e tecnologie molto più potenti ed efficaci. Forse tanti dibattiti sulle nuove tecnologie potrebbero prendere un’altra piega ed essere meno sterili se fossero finalizzati anche alla tutela dell’ambiente.
Va riconosciuto tra l’altro che proprio nella prospettiva dell’adattamento, sulla spinta degli accordi di Parigi, sono nate diverse iniziative a livello locale, regionale e interregionale che stanno lentamente introducendo nuovi modelli di gestione delle risorse e di governance dei sistemi ambientali ed energetici: sono iniziative che possono diventare modelli per altri e che comunque, data l’interdipendenza dei sistemi ambientali di cui si è detto, possono trovare la loro massima efficacia in un contesto di cooperazione e di dialogo a tutti i livelli.
Per questo però gli accordi di Parigi vanno salvaguardati; soprattutto va salvaguardato e rafforzato un metodo di affronto dei problemi globali, specie quelli ambientali che per loro natura non sopportano approcci individualistici e isolazionistici.