Il massacro di venti bambini nella sparatoria folle della scuola di Newtown, Connecticut, venerdì scorso. Il massacro di dieci bambine esplose su una mina mentre andavano a tagliar legna in un villaggio alle porte di Kabul, ieri. Bambini, asilo e primi anni di elementari, famiglie di media borghesia e scuola curata e a due passi da un bosco di fate, l’America, il paese più democratico e sicuro del mondo. Bambine, già donne a 10 anni, in quella terra martoriata da una guerra tropo lunga. Bambine capaci di manovrare un’ascia, perché la necessità aguzza le forze. Un’ascia che ha colpito nel posto sbagliato, in Afghanistan, dove sulle mine saltano bambini tutti i giorni e nessuno ci fa più caso. Bambini, e tanti auguri, è Natale.
Ci affanniamo per coprire di regali inutili i nostri bambini, magari ci premuriamo di comprare qualcosa in più, da regalare a chi non avrà molto. Bel gesto. Ma nessuno li capisce i bambini. Nessuno sa cosa è davvero meglio per loro, per cui qualsiasi cosa è un regalo, e l’unica cosa di cui davvero hanno bisogno e desiderio è di essere amati, ascoltati, protetti. Dagli orchi. Dai pazzi, che si aggirino per le strade di una città, soli e impazziti, o che giustifichino la loro follia con un’ideologia, con l’appartenenza a una bandiera. I bambini del Connecticut preparavano l’albero di Natale, scrivevano sui loro quaderni la ricetta del tacchino al forno e immaginavano Santa Klaus che scende dal camino, il 25 notte, e magari nevica un po’, e dai vetri appannati la foresta diventa incantata.
Le bambine di Dawlatzai (un villaggetto come tanti, alle porte di Kabul) il Natale non lo festeggiano, ma non fanno festa da tempo, non ne hanno memoria i loro genitori. La loro vita un azzardo, ogni mattina. La loro speranza è un piatto di riso più pieno, e una collanina colorata da mostrare alle amiche. La bomba che le ha uccise era un residuato bellico dell’Armata Rossa. Era stata buttata lì per i loro nonni, per i loro padri ragazzini. E’ toccata a loro. Non avranno funerali solenni, né discorsi alla nazione, e le ferite e mutilate non avranno che una stampella di legno, con cui muoversi a stento per tornare a far legna, fra qualche mese.
I corpicini dei bimbi di Newtown hanno commosso il mondo, che ha riflettuto sul loro destino avverso e crudele. La classe presa di mira dal pazzo poteva essere un’altra, potevano essere tra i salvati corsi fuori con le loro maestre a riabbracciare i genitori, a dare interviste sgomenti alle televisioni impietose. E’ toccato a quei venti. C’è un nesso, tra queste morti da un capo all’altro del mondo? Eccome se c’è. Le guerre non sono per gli uomini, per tutti gli uomini che sono pur stati bambini. E le armi con cui fare la guerra, grande e o privata che sia, non sono per l’uomo.
Non è casuale che esplodano e uccidano. Poi, quanto al fato o al caso, tocca ammetterlo, ci cascano anche i più intelligenti, i più saldi nella fede. Sotto sotto lo pensiamo tutti, che va a fortuna, e che certe morti non hanno un senso. Che certe vite non hanno un senso. Come possiamo, noi, poveretti. Come può lo strazio di una madre assennatamente, ragionevolmente, dirsi che sarà per un bene, che un giorno capiremo, e sarà tutto chiaro. Chi ci riesce, a parlare così, a creder così. Possiamo solo fidarci.
Di quel Bambino che ogni giorno rinasce nella storia per redimere il male e dare la salvezza eterna. Che ha amato e voluto e conosce ogni persona, ogni zazzera bionda o lucida chioma corvina, ogni accento e sospiro di ciascuno e di tutti. Che non ci ha donati al male e alla morte, ma conosce ogni capello del nostro capo. E’ Natale, e i pastori esultarono. Il giorno dopo il mondo gridò e pianse, per quella strage di Innocenti che intrise ancora una volta di lacrime Sion. Quel Bambino nacque tra il pianto. E eternamente piange per noi, e promette ai nostri piccoli martiri il paradiso.