La commozione e l’enfasi del “grazie” di Obama, l’ammirazione espressa, hanno fatto uscire dalla routine diplomatica i 50 minuti di questa visita al primo Papa latino-americano, che da subito ha impresso un segno nuovo all’azione e al messaggio della Chiesa, mettendone a fuoco la missione evangelica di annuncio di Cristo alle periferie del mondo, “in ispirito e verità”.
Esemplare la franchezza della denuncia della crisi morale, prima ancora che economica, che avviluppa le società – che poi sono nazioni e popoli, “persone”, e non numeri dei documenti di programmazione economica – della globalizzazione. Dei mali, morali prima che economici, che vengono da un capitalismo senza scrupoli; una nuova forma di tirannia, che genera un modello di ricchezza “globale” cui sono funzionali troppe estesissime sacche di povertà e bisogno “locali”, sia a scala di interi popoli e paesi, sia a scala di enclaves territoriali e sociali all’interno di paesi ricchi o emergenti. L’attenzione di Francesco certo ai beni spirituali del messaggio evangelico, che guardano all’essenza della dignità umana, ma altrettanto ai prerequisiti “materiali” necessari per vivere concretamente quei beni morali. E questo conta soprattutto per i poveri, per gli affranti non solo nello spirito, ma nella quotidiana fatica di chi ha poco o nulla per raccontarsi, o raccontare ai suoi figli, quella dignità che gli riconoscono a parole i “diritti umani” quando si fanno retorica.
Obama ha colto benissimo il punto, riconoscendo, lui il Presidente dell’economia capitalistica più potente del mondo, ma anche quella da cui è partita la crisi finanziaria ed economica in cui siamo immersi, che oggi il problema economico è al fondo un problema etico; un problema di sperequazione nella distribuzione di redditi e risorse, più che di valori assoluti di punti Pil in circolazione: «Io credo che, incalzandoci di continuo, il Papa ci metta sotto gli occhi il pericolo di abituarci alle sperequazioni; di abituarci, cioè, a questo tipo di disuguaglianze estreme fino ad accettarlo come normale. È un errore che non dobbiamo commettere».
Al di là del merito delle reciproche valutazioni su questo o quel tema, per questo per Obama quella del Papa «è una voce che il mondo deve ascoltare, perché ci sfida, ci implora a ricordarci della gente, della povera gente». E nel colloquio privato, Obama avrà ribadito a Francesco l’impegno degli Stati Uniti per sradicare entro vent’anni la povertà estrema nel mondo. Ma il senso di questo colloquio, più che nella sintonia sui temi dell’equità o nei diversi accenti su taluni aspetti dei diritti civili, ci appare essere nel riconoscimento di Obama che chi cerchi oggi, a partire dai potenti della terra, un approccio ai processi di globalizzazione che ne colga le opportunità, ma anche ne riduca i tanti rischi, e l’enorme grido di sofferenza che questi processi alla ricerca di un nuovo equilibrio mondiale generano, non può oggi non guardare alla Chiesa di Roma, e al suo messaggio.
C’è nell’immaginario americano, nella grande Fantasy di Philip Dick, in un romanzo del 1968, Gli androidi sognano pecore elettriche? (il romanzo che nel 1982 ispirò Blade runner), in un mondo devastato dagli esiti di uno scontro globale che prova a sopravvivere, incastonato un personaggio, trasmesso in continuazione da tutti gli schermi lasciati accesi: Mercier, che sale continuamente una collina portando su, sulle spalle, una croce. Per il grande Dick, come dal nome di questo profeta catodico, un segno che per il mondo di dopo, di dopo la catastrofe, la salvezza poteva venire solo dal messaggio di grazia e benevolenza dell’uomo della croce del mondo di prima.
Credo che Obama sia tra i leader che abbiano capito, che per evitare il mondo di dopo, in cui abbiamo fatto già non pochi passi, la parola custodita dalla Chiesa di Roma sia la chiave di una possibilità; per il suo destino di leader, e per i più generali destini cui la sua leadership concorre. Nella copia dell’Evangelii Gaudium, che Francesco gli ha donato, e le parole con cui Obama lo ha ringraziato – «Lei sa che probabilmente leggerò questo libro nella stanza ovale, quando sarò veramente frustrato e sono sicuro che mi darà forza e mi calmerà» – mi piace vedere il segno di questa consapevolezza.