La questione della tanto sbandierata “apertura” di Re Salman verso le donne saudite in relazione alla possibilità di guidare va vista sotto vari aspetti. In primis quello prettamente legato alla dimensione femminile nel regno, e in questo senso va detto che si tratta di un pannicello caldo; per donne come quelle saudite, cui è vietato tutto, persino la libertà di operarsi se stanno male senza il consenso di un parente maschio, la possibilità di guidare un’auto vale ben poco.
C’è poi un aspetto, a parer mio altrettanto se non addirittura più importante, che è quello politico; a partire dal 2015, quando Salman è salito al trono, chiunque conoscesse un po’ di cose saudite si aspettava cambiamenti. Il sovrano, infatti, è sempre stato visto come un personaggio più “aperto” dei suoi predecessori, sebbene occorra sempre ripetere che parlare di apertura in Arabia Saudita, piuttosto che in Qatar, equivale a parlare di passaggi di portata piuttosto limitata rispetto alle condizioni di partenza. Come spiegavo al tempo sempre su queste pagine, Salman, succeduto ad Abdullah, aveva deciso di mettere fine al metodo di successione tradizionale a Riyadh, che prevede il passaggio del potere “di fratello in fratello”, tutti in età assai avanzata. Salman ha infatti nominato erede al trono l’oggi 57enne principe e ministro dell’interno Mohammed bin Nayaef ed ha addirittura nominato già il successore di quest’ultimo, il giovanissimo ministro della difesa Mohammed bin Salman, oggi 32enne.
Al tempo, ricordo, spiegai già che sui diritti umani non c’era molto da festeggiare e che in realtà, in concomitanza con la crescita sciita nel quadrante, si stava tentando di stare un minimo al passo con i tempi. Almeno in superficie. E questo, oggi, mi appare ancora più vero se penso all’accusa plateale contro il Qatar, indicato come finanziatore e promotore del terrorismo jihadista. Riemergere in un contesto geopolitico complesso, ridisegnare i confini della propria azione internazionale e, al contempo, continuare a dare di sé un’immagine di flebile apertura: questa è una prima grezza sintesi di quanto oggi viene celebrato dai media internazionali con la solita grancassa senza conoscenza.
Occorrerebbe, come da sempre spiego, dare delle cose una visione d’insieme diluita nel tempo, strutturando l’analisi guardando alle varianti geopolitiche e storiche. Così facendo non può sfuggire come, fra le varie motivazioni, vi sia per la monarchia saudita la necessità di presentarsi come riformata, più aperta ai diritti. Ma chi conosce il wahhabismo e le sue devastanti conseguenze su donne e liberi pensatori, non può mai credere che queste mosse non siano dettate da convenienza. Lo scontro con le potenze sciite continua, per fermare il contagio e tentare di tener botta sul piano internazionale, dove la primavera araba atto primo è finita e ne inizia un’altra, l’atto secondo. E questa “apertura”, o “concessione” è una delle prime mosse di Riyadh.