Rashida, ragazza egiziana di 15 anni che vive in Italia, dopo la permanenza di 4 mesi in comunità, ha ritrattato la sua versione dei fatti, che aveva precedentemente raccontato agli operatori del servizio emergenza. “Vogliono farmi sposare con un uomo più grande di me, aiutatemi”, così Rashida comunicava la sua disperazione al 114 (servizio emergenza infanzia) alcuni mesi fa per tentare di fuggire dal suo destino. Questa è l’ennesima storia di una ragazza costretta dalla sua famiglia a sposare un uomo, scelto dai genitori e molto, troppo più grande di lei. La storia di Rashida ci lascia sgomenti perché si sarebbe tagliata addirittura le vene dei polsi per gridare al mondo intero il suo dissenso e straziante dolore per non aver potuto effettuare liberamente le proprie scelte. A scuola, Rashida si è dimostrata un’ottima e assidua allieva riportando ottimi voti all’istituto superiore di Torino, ma i suoi genitori sembrerebbero contrari alla sua formazione scolastica. “Tanto non ti serve, è il marito che deve badare a te”, le avrebbe detto la madre.
C’è il rischio che Rashida, impaurita e terrorizzata, a seguito di pressanti pressioni psicologiche sia stata stigmatizzata dalla sua stessa famiglia che l’ha indotta a ritirare le accuse precedentemente formulate. La procura dovrebbe indagare sul motivo che ha indotto la ragazza a ritrattare la sua versione dei fatti, per evitare che si verifichi un altro caso drammatico come quello di Hina Saleem, uccisa dal padre. L’Acmid Donna Onlus, da molto tempo, si impegna ad aiutare e sostenere le donne vittime di violenza e di soprusi, si fa portavoce giornalmente di tantissime storie di donne represse, costrette a matrimoni forzati, segregate dai familiari che dovrebbero invece amarle e comprenderle.
Sarebbe stato più opportuno inserire Rashida in una famiglia che, con l’aiuto di psicologi altamente specializzati, l’avrebbe sostenuta ridandole quella sicurezza, quella fiducia e quella forza esistenziale necessarie per continuare a combattere, impedendole così di ritirare le accuse. L’assenza di un’organizzazione con adeguate strutture non permette loro una graduale autodeterminazione aggravando sempre di più i problemi e i disagi già esistenti. In quest’ultimo anno, si è purtroppo rilevato che il 60 per cento delle bambine maghrebine, di seconda generazione, non frequenta la scuola dell’obbligo, scomparendo, nel più totale silenzio, non soltanto dal sistema scolastico ma anche dal tessuto sociale. Una vera e propria segregazione.