“Prima di parlare nel nome dell’Islam e di vietare i presepi nelle scuole per non offendere le altre religioni, i presidi dovrebbero chiedere ai musulmani quali siano i loro sentimenti nei confronti del Natale. Sono convinto che rimarrebbero molto sorpresi”. Ad affermarlo è Wael Farouq, professore egiziano dell’Università Cattolica di Milano e dell’American University del Cairo. Ha scatenato polemiche la decisione di un preside di Rozzano (Milano) che ha deciso di rinviare il concerto di Natale e di rimuovere il crocifisso in nome della laicità. Una decisione analoga è stata assunta in un asilo di Pietrasanta (Lucca), dove però il sindaco Massimo Mallegni è intervenuto disponendo che tutti e cinque gli asili allestiscano anche il presepe e non soltanto l’albero di Natale.
Professor Farouq, lei in quanto musulmano si sente offeso dal presepe?
La nascita di Gesù è un miracolo divino riconosciuto dai musulmani e, anche se non abbiamo la tradizione di celebrare questa ricorrenza in modo religioso, anche per noi è un momento sacro nella storia dell’uomo. In quanto musulmani riconosciamo la particolarità di Gesù e il miracolo della sua nascita. Per i musulmani il presepe non è affatto offensivo, anzi è un omaggio a qualcosa che riconosciamo noi stessi. Gesù Cristo possiede, nel nobile Corano, uno status superiore rispetto agli esseri umani ordinari, ai profeti e agli inviati di Dio, incluso il profeta dell’islam Muhammad. Gesù Cristo, infatti, è la Parola di Dio e uno Spirito che da Lui proviene, deposto nel grembo di Maria Vergine (Sura delle donne, versetto 171).
Quindi non ci sono differenze tra cristiani e musulmani?
Esiste una differenza, che riguarda la natura di Dio e di Gesù. Ritengo però che tutto questo background teologico non dovrebbe essere coinvolto nella discussione sul presepe e sulla celebrazione del Natale nelle scuole. Il vero problema è l’integrazione per mezzo della “rimozione”: per integrare i musulmani, cioè, c’è chi pensa che si debba rimuovere la croce, o che per integrare gli omosessuali si debba aggredire la letteratura e la cultura della famiglia. È un modo di vedere ristretto e rigido che considera lo spazio culturale come uno spazio limitato, nel quale, a causa del “sovraffollamento” di culture, si deve tagliare un po’ di spazio a una per darlo a un’altra. Ma la natura dello spazio culturale umano è proprio quella di essere senza limiti. Invece di cercare cosa rimuovere, dovremmo cercare cosa aggiungere e come costruire ponti. Così, secondo me, chi chiede di rimuovere la croce per rispettare i sentimenti dei musulmani non è nient’altro che l’altra faccia di chi vede nei musulmani un pericolo per la croce.
Ma quindi lei vuole dire che nessun musulmano si sentirebbe offeso dal presepe?
Ci sono centinaia di casi di famiglie musulmane che hanno partecipato ai presepi viventi sotto le feste natalizie e che non hanno avuto alcun problema. In una scuola, Gesù Bambino è stato rappresentato persino da un ragazzino musulmano. Il vero problema quindi non è che cosa pensino i musulmani di Gesù Cristo. Piuttosto, la questione è se qualcuno abbia mai chiesto ai musulmani quali siano i loro sentimenti verso il Natale, prima di decidere di non fare il presepe per non offenderli. Oggi i musulmani sono strumentalizzati dai terroristi, dai politici e da qualsiasi portatore di una posizione ideologica. Tutti parlano per conto dei musulmani, ma nessuno parla con loro.
Ritiene che vietare i presepi sia anche un segno di ignoranza?
Chi vieta i presepi probabilmente non sa che in Egitto, Tunisia, Marocco e nella maggioranza dei Paesi islamici si celebra la Natività, e numerose famiglie musulmane allestiscono l’albero di Natale nelle loro case. C’è una grande differenza fra religione e cultura. Se la religione è un credo che possiamo accettare o rifiutare, la cultura è il frutto del movimento delle società nella storia, una formula umana che non può essere separata dal cuore e dalla lingua. Un cristiano egiziano dice: “Io sono di religione cristiana e di cultura musulmana”. E penso che anche i musulmani in Europa siano così. La loro appartenenza culturale – che lo vogliano oppure no – è determinata dalla lingua, dai vestiti, dal cibo, dalle arti, dalla tecnologia, dal linguaggio della vita quotidiana, un mare sul quale navigano con la nave dei loro valori religiosi. Restare a terra, o farsi inghiottire dal mare, sono due cose in contrasto con il ruolo e lo scopo di questa nave.
Gesù Bambino è nato in povertà e lontano da casa. Lo potremmo vedere come un piccolo rifugiato?
Sì, non a caso la prima esperienza da rifugiato l’ha vissuta lo stesso Gesù Cristo. E questo non soltanto al momento della nascita, ma anche quando è fuggito in Egitto per scampare al Re Erode che lo voleva uccidere. I suoi primi anni di vita sono trascorsi insieme agli egiziani. Gesù quindi è stato un immigrato nel vero senso della parola. Se gli uomini dell’epoca fossero stati come quelli di oggi, la storia del cristianesimo sarebbe cambiata totalmente.
(Pietro Vernizzi)