Se la questione della sicurezza dal rischio nucleare in Italia stesse davvero a cuore di chi sta alimentando la campagna di allarme attualmente in corso sui nostri giornali e telegiornali, alla notizia dei danni causati dal recente terremoto in Giappone alla centrale di Fukushima saremmo stati inondati da servizi sulle centrali nucleari in funzione nella Francia meridionale, in Svizzera e in Slovacchia (dove ce n’è una che è di proprietà dell’Enel).
Cronisti e telecronisti sarebbero stati sguinzagliati a caccia di interviste a direttori di centrali francesi, a viticoltori provenzali al lavoro nelle loro vigne, ad allevatori bernesi intenti alla mungitura delle loro mucche sullo sfondo di impianti nucleari o infine ad assaggiatori piemontesi di vini impegnati in degustazioni di raffinati bianchi della valle del Rodano prodotti pigiando uva cresciuta all’ombra di reattori nucleari.
Per tutta l’Alta Italia e per la Sardegna un eventuale guasto in uno di questi impianti avrebbe infatti conseguenze ben più gravi del guasto in un’eventuale centrale nucleare del Lazio. Qualunque cosa accada poi alla centrale di Fukushima danneggiata dal recente sisma, la questione è rilevante sul piano umano, ma non pone per noi alcun problema di sicurezza. Diversamente dal caso del Giappone, che non aveva alternative essendo il suo territorio interamente sismico, in Europa non si sono costruite, né si costruiranno centrali in aree soggette al rischio di terremoti. Il problema che perciò si pone nel paese del Sol Levante (peraltro oggi tecnicamente risolvibile, come ho già scritto altrove) non esiste da noi.
Siccome però la vera posta in gioco non è il rischio nucleare in Italia, che ai “registi” della campagna in questione importa poco o niente (e fanno bene, perché in effetti è irrisorio), bensì l’agognata uscita di scena di Berlusconi, eccoci allora sommersi da una valanga di notizie enfatiche e imprecise magari in partenza dal Giappone, ma pensate in Italia.
Per rendersi conto di come stanno veramente le cose c’è un mezzo alla portata di tutti, si tratta di Internet: basta confrontare quanto si legge sul sito italiano Ansa Notizie e rispettivamente sul sito inglese Bbc News. Sembra che stiano parlando di due avvenimenti diversi che accadono per magia nel medesimo luogo, tanto il quadro catastrofico descritto nel primo è diverso da quello ovviamente drammatico, ma nient’affatto disperante, che viene delineato nel secondo. In tempi normali, l’equilibrata informazione tipica della Bbc è il grande esempio proclamato (anche se mai seguito) da tutta la stampa “progressista” italiana. In questi giorni, invece, non se ne parla nemmeno.
Adesso inizia la fase due: dopo aver montato la panna descrivendo un rischio che in Europa non c’è, in questi giorni si sono poi girati i riflettori verso il nostro Continente descrivendo, di nuovo in modo enfatico e impreciso, la decisione dell’Unione europea – prudentemente ovvia tenuto conto dello stato d’animo della gente – di chiedere verifiche straordinarie a tappeto delle quasi 150 centrali nucleari in funzione in Europa: un provvedimento che poi di fatto si risolverà nella raccolta di informazioni riguardo a meccanismi e a procedure di controllo che sono comunque già in atto.
È pur vero che la produzione di energia implica dei rischi specifici, ma allora perché in Italia, se ce ne fosse bisogno, non parliamo di quello legato alle dighe che alimentano le centrali idroelettriche, una delle quali, quella del Vajont, provocò il più grave incidente causato in tutta la nostra storia da un impianto di produzione di energia?
Nel nostro Paese, come è noto, sono in programma per giugno tre referendum popolari promossi dall’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, uno più farisaico dell’altro, volti in effetti rispettivamente: a rendere Berlusconi più vulnerabile ad attacchi giudiziari; a bloccare la razionalizzazione dell’impiego dell’acqua (oggi, nell’insieme gli acquedotti italiani ne perdono una quantità divenuta ormai non più sostenibile); infine, appunto, a bloccare l’avvio nel nostro Paese della costruzione di centrali elettro-nucleari.
Al di là di ogni altra considerazione, riguardo a quest’ultimo ci sarebbe innanzitutto da dire che è completamente inutile. L’Italia non è uno stivale che fluttua nel vuoto cosmico: come già accennavamo, è parte di un piccolo continente dove già ci sono circa 150 centrali, almeno quindici delle quali sono molto più vicine a Milano di quanto Fukushima sia da Tokyo. Quindi di che cosa stiamo parlando? Su che cosa vogliamo decidere?
Nella parte del mondo in cui viviamo la scelta per il nucleare è già stata fatta da anni. L’unica differenza per quanto ci riguarda come Italia è che ne condividiamo i rischi (nella misura in cui ci sono) senza condividerne i vantaggi. Il referendum in programma è pertanto una pura perdita di tempo, a meno che diventi occasione per un dibattito nazionale ampio e non emotivo sul problema: un’occasione che il governo farebbe bene non a subire, bensì a cogliere attivamente.