Datemi un pomodoro! Non sarà una grande annata per il pomodoro da tavola, ma forse è ancora presto per dir l’ultima parola. In ogni caso il pomodoro sta diventando un’ossessione, almeno per chi, come me, ha origini contadine e il pomodoro come gli zucchini riempivano la tavola dell’estate. Ho sempre pensato che un pomodoro condito con un olio extravergine di oliva e poco sale sia un toccasana, quasi una medicina, eppure chi ti serve un’insalata di pomodori? Posso contarli su una mano i ristoranti che si azzardano a porgerti quello che può essere un contorno ideale. Fra questi c’è la Degusteria Magnatum (via Indipendenza, 56 – tel. 098275201) un localino grazioso, a Longobardi Alto, in provincia di Cosenza. Qui Giovanna Martire e Francesco Saliceti, propongono un’insalata di pomodoro cuore di bue di Belmonte Calabro, che viene chiamato la bistecca, condito con origano e cipolle rosse di Tropea. Una prelibatezza, ancor più se abbinato a un brut rosè di uve gaglioppo dei fratelli Librandi di Cirò (Kr). Questi due eroi del gusto, hanno trasformato il bar dello Sport in una meta irresistibile dove c’è la gara per andare ad assaggiare la frittata di patate. Ma qui l’uovo non c’entra, giacchè il nome deriva da friggere. E si friggono strati sottili di patate conditi con le spezie. E la felciata? E’ un formaggio fresco conservato nelle felci, che esalta ancor di più la sua freschezza. E’ una specialità di Fiumefreddo Bruzio (Cs), un altro paese da andare a visitare di cui rimase folgorato lo scultore e artista Salvatore Fiume. Quante storie ci sono da raccontare in Italia. E più si va al sud, più viene esaltata la memoria della cucina casalinga. Che mette quasi in ridicolo un certo concetto di cucina sbrigativa che connota tanti locali del Nord Italia. Avrei toccato il cielo con un dito se l’altra sera, nel nuovo “Eataly in campagna” di San Damiano d’Asti, m’avessero servito un’insalata di pomodori. Sarei stato felice se in qualche piatto, anziché la carne della Granda in tante, troppe declinazioni, ci fosse stato il simbolo della campagna: l’uovo.
Invece mi sono trovato nel cortile di un perfetto franchising, col mio tavolino numero 61, come un cliente in batteria. E qui ho meditato sul valore della trattoria italiana, che non è solo cibo, ma anche cuore. Il cuore, tuttavia, l’ho ritrovato poche sere dopo dai fratelli Alciati, che sempre sotto l’ala di mister Farinetti hanno aperto il nuovo Ristorante Guido nei tenimenti della Bela Rosin, l’amante del re (e Berlusconi è un dilettante a confronto di un leggendario re che – si narra – regalava la licenza di sali & tabacchi a chi era stato gentile con lui). Siamo a Fontanafredda a Serralunga d’Alba (via Alba, 15 – tel. 0172458422), dunque, ad assaggiare il peperone ripieno e l’agnolotto che faceva Lidia, la mamma di Ugo (il cuoco) e di Piero (il maitre); quindi il vitello tonnato roseo e perfetto. Insomma il racconto di una storia, che rischia di perdersi nelle repliche dei franchising, come in molti casi è andata a perdersi la pizza o il gelato. Ma noi italiani non siamo fatti per l’appiattimento: vogliamo la sostanza. E se c’è la crisi, non è vero che la gente diserta in assoluto l’andare fuori a cena. Ci va volentieri a un patto: che quel che paga abbia il giusto valore, come alla Degusteria di Longobardi dove spendi intorno ai 25 euro. Ma capisco molto bene perché sia sparito il pomodoro saporoso da tante tavole: qualcuno si vergognava a farlo pagare tanto. E se iniziassero a regalarlo? Già potrebbero cominciare così certo chef Stellati, magari in quei bistrot che raddoppiano l’offerta di tanti ristoranti celebri, gli stessi che molto spesso, anche grazie alla stella, si sono ritrovati vuoti.