Ci troviamo oggi una situazione avanzata del radicalismo, e la giovane 14enne di Bologna ne è la testimonianza. La madre le aveva imposto il velo e solo grazie all’intervento della preside è emerso il fatto così come riportato sulle pagine del quotidiano Il Resto del Carlino. “Fatima, che hai fatto ai capelli? E lei, con gli occhi gonfi di lacrime, è crollata. Quella testa rasata l’avevano notata tutti, ieri mattina in classe. E alla domanda della sua insegnante non ha potuto nascondere la verità. Fatima (il nome è di fantasia) voleva ribellarsi a un’imposizione che non trovava giusta. Così ogni mattina, quando andava a scuola, indossava il velo come voleva sua madre. Poi, una volta uscita di casa lo toglieva, perché solo così si sentiva come tutti i suoi coetanei. E per un po’ è riuscita a ingannarla, infilandoselo al ritorno dalle lezioni. Fino a che l’altra sera, dopo il primo avvertimento caduto nel vuoto, la madre le ha tagliato i capelli a zero per punirla. Annullandola nel suo essere una giovane donna”.
Questa è solo una delle tante storie, fortunatamente e casualmente emersa tra le tante situazioni di vita di donne e ragazze sottoposte ai rigidi schemi imposti dalla sharia islamica. Oggi, infatti, la percentuale delle bambine di origine maghrebina che non frequentano le istituzioni scolastiche obbligatorie si aggira attorno al 60 per cento, in una situazione di omertà, indifferenza e silenzio da parte delle istituzioni che dovrebbero essere naturalmente preposte alla tutela di queste minori.
Possiamo tranquillamente parlare di una “seconda generazione” di donne islamiche passivamente sottomessa sia dal punto di vista educativo, che da un punto di vista sociale. La anormalità che diviene normalità, soprattutto nell’imposizione di schemi mentali e comportamentali non comunemente accettate dalle donne islamiche, rappresenta infatti solo una delle sfaccettature dell’integralismo di matrice islamica, ben rappresentato nel conflitto generazionale oggi esistente tra una prima generazione di donne semi-radicalizzate che non accetta i principi della società moderna, civile e globalizzata; ed una seconda generazione ancora non del tutto radicalizzata, anche grazie agli effetti psicologici, culturali e sociali prodotti dalle cosiddette “primavere arabe”.
Tali processi di radicalizzazione — che Acmid Donna onlus ha puntualmente denunciato — hanno origine in quell’insieme di attività promosse, finanziate, e supportate a decorrere dagli anni 90 da parte delle correnti salafite e del radicalismo di matrice islamica. Qualcuno infatti ha voluto velocizzare il processo di radicalizzazione della prima generazione di donne islamiche presenti nei confini del territorio europeo ed internazionale, con mezzi economici provenienti da circuiti riconducibili al mondo saudita dei petrodollari. A seguito di tali politiche improntate all’espansione e diffusione del radicalismo salafita, sono state letteralmente assoldate e poste in una situazione di piena dipendenza le leadership dei media, della politica, dell’associazionismo e dei movimenti culturali.
Come quasi sempre accade l’apice della piramide, costituita dai mandatari, dai finanziatori e da coloro che simulano e dissimulano un dialogo con le istituzioni democratiche, resta ignota rispetto alla base, formata da individui insignificanti, manipolati e controllati come nel caso della cellula kosovara-jihadista intercettata ed arrestata a Venezia.
A seguito di queste riflessioni si presenta come necessità sempre più strutturale per il futuro della società democratica l’attuazione di un insieme di interventi che siano fortemente incentrati verso la de-radicalizzazione del fondamentalismo islamico, azione da attuarsi senza ripensamenti e mezze misure. Fortunatamente l’Italia, nonostante il fatto che sia la base logistica della diffusione ed infiltrazione del radicalismo nel contesto europeo, si presenta come un Paese presso cui la seconda generazione di donne islamiche non è ancora stata radicalizzata.
Solo attuando delle politiche non ambigue si potrà arrestare quello che attualmente è da intendersi come un processo irreversibile, e che potrebbe condurre l’Europa a profondi e radicali cambiamenti delle abitudini, delle usanze, e soprattutto della mentalità dell’uomo occidentale. Il fondamentalismo islamico infatti persegue il proprio progetto in modo diretto, mediante l’utilizzo di enormi risorse finanziarie, tentando inizialmente un’apparente integrazione multiculturale dietro cui si nasconde la minaccia di una colonizzazione culturale, sociale e politica; cioè l’islamizzazione dell’Europa. Fatima è una delle migliaia di vittime del radicalismo che avanza e cerca di cambiare ogni giorno il nostro modo di vivere, se non è già cambiato.