La nuova legislazione belga sull’eutanasia (13 febbraio 2014) continua a occupare la mente di tutti. Un professore emerito di filosofia ed etica dell’università di Gand, ex co-presidente della commissione sull’eutanasia presso il Comitato consultivo di bioetica, ha lanciato, nel marzo scorso, un appello, in olandese e in francese, nel quale si invitano tutti coloro che sono preoccupati per quello che sta succedendo a firmarlo e a diffonderlo. Onde evitare equivoci, occorre chiarire che non si tratta di una presa di posizione contro la legge, come il titolo del documento, “La dignità della fine della vita minacciata”, potrebbe far credere. Questo stesso professore aveva già dichiarato, in un’intervista del 2008, che è stata la Chiesa a inventare la storiella secondo cui l’uomo non è il proprietario, ma solo l’amministratore della propria vita. Dalla legge del 2002 sull’eutanasia, scrive egli nel suo appello, il nostro paese si trova, insieme con i Paesi Bassi e il Lussemburgo, che hanno votato leggi analoghe, eticamente parlando e su scala mondiale, in punta di coltello.
Ormai questa legge vale anche per i minorenni, il che colma una lacuna. Il professore invoca i benefici dovuti alla legge, specialmente nell’ambito delle cure palliative e dei diritti dei malati. “Probabilmente, da nessuna altra parte la dignità dei malati e il diritto di non soffrire inutilmente sono così ben tutelati come nel nostro paese”.
Tutto questo ha avuto delle ripercussioni positive all’estero: il nostro dibattito sull’eutanasia ha infatti convinto diversi paesi dell’esistenza di “sintomi refrattari” (incurabili) che nemmeno le migliori cure palliative potevano evitare. E un po’ ovunque si è cominciato a imitare il nostro atteggiamento di compatimento nei confronti della persona sofferente. «Tuttavia», denuncia il professore, «alcune persone tentano di screditare la nostra legislazione sull’eutanasia, protestando presso il Collegio dei medici e rendendo pubbliche le loro proteste». Se questa strategia funesta dovesse andare in porto, centinaia di persone che si trovano in uno stato di estremo sconforto non sarebbero più aiutate.
Tali gruppi sono contrari “a una fine degna della vita”. Le loro argomentazioni sono deboli, avrebbero serie difficoltà a difenderle all’interno di una discussione seria. Le loro affermazioni gettano il sospetto su un progresso sociale ed etico sostenuto da una buona fetta della popolazione belga. E in conclusione: “Mediante la nostra azione (la petizione) vogliamo evitare che l’evoluzione positiva dell’atteggiamento servizievole dei medici nei confronti dell’essere umano che soffre venga messa in discussione e finisca per generare il fenomeno contrario”.
L’appello del professore ha poi raccolto migliaia di firme. Il minimo che si possa dire è che questo professore non ha certamente letto quello che ha scritto l’arcivescovo di Malines-Bruxelles a proposito della legge, nel momento in cui questa stava per essere votata (si veda l’articolo sul ilsussidiario.net del 14 febbraio).
Le argomentazioni portate avanti da Monsignor Léonard erano vigorose! Come le iniziative che hanno portato alle leggi sull’aborto e sull’eutanasia, l’appello di cui abbiamo appena parlato è il prodotto della mentalità atea, imbevuta di franco-massoneria che, in Belgio, paese sempre meno credente, è sempre più presente e militante nella politica, in un buon numero di università, nel mondo della cultura, nei mass media. I suoi protagonisti si sentono forti, hanno il vento in poppa.
Come reagire? Con altre petizioni? Ce ne sono già tante. Con delle manifestazioni? Ce ne sono già parecchie; non mancano le marce per la vita a Bruxelles. Ma la cosa più importante e urgente, per tutti i credenti, così come per tutti gli uomini e le donne di buona volontà, è arrivare a una ferma convinzione sul fondamento di qualsiasi azione a favore della vita umana, in qualsiasi circostanza. Perché la vita di un feto, di un handicappato, di un malato terminale è così preziosa? Perché difenderla a ogni costo? Senza un fondamento solido, i valori, anche quello sacrosanto della vita umana, alla lunga non tengono più. Se dopo la morte ci aspetta il nulla, l’unica cosa che conta è la salute, come scriveva già Nietzsche, con lo sguardo rivolto verso il suo Übermensch (Superuomo): «Si ha il proprio piacerino per il giorno e il proprio piacerino per la notte; ma si sta attenti alla salute» (Così parlò Zarathustra, prologo 5). E se la salute viene a mancare? Allora, non ci resta altro da fare che finire la vita in «dignità».
(Traduzione di Davide Polenghi)