In termini di definizioni generali, sono numerose le formule — classiche o recenti, recentissime — capaci di nominare efficacemente la politica, e tante le condivido. Così, l’audacissima affermazione di Paolo VI (“La politica è la più alta forma di carità”) mi trova consenziente, senza che mi senta costretto ad aggiungere prudentemente: bisogna vedere, poi, cosa si intenda per carità. Ma nel concreto dell’esperienza quotidiana e della mia attuale attività di parlamentare, cosa significa per me politica?
Un esempio, il più prossimo nel tempo e che, per certi versi, è il più dolente.
Siamo tutti diventati strateghi di geo-politica e analisti di relazioni internazionali, e va bene, ma quando poi ci si presenta uno scenario, come quello squadernatoci davanti dalla morte di Giulio Regeni, riusciamo a coglierne la portata e la profondità? È quello che cerco di fare da quel 3 febbraio del 2016, quando il corpo del nostro connazionale venne ritrovato martoriato nella periferia del Cairo. Perché sono fermamente convinto che in quella vicenda — ma potrei citarne numerose altre — si possa leggere in controluce il cuore stesso di una dimensione della politica atrocemente attuale e atrocemente irrisolta, e che non consente di essere elusa o rimossa.
Mi spiego: il regime di Al-Sisi che domina l’Egitto da qualche anno viene considerato come un presidio strategico nella lotta contro il califfato, ma questo può impedire alle democrazie europee e all’Italia di sollevare due cruciali dilemmi che costituiscono, appunto, sostanza viva dell’agire pubblico dei governi, dei parlamenti e delle opinioni pubbliche? È possibile, in altre parole, in nome della stabilità di quella regione e della lotta contro il terrorismo jihadista, ignorare temi fondamentali, come la natura delle relazioni tra un sistema democratico e uno stato di diritto, quale l’Italia, e un regime dispotico e liberticida, quale quello egiziano? E all’interno del sistema di rapporti tra i due paesi, la tutela dei diritti fondamentali dev’essere necessariamente ultimo punto dell’agenda politica, oppure priorità tra le priorità, unitamente alle relazioni istituzionali, diplomatiche ed economiche?
E ancora: è possibile intrattenere rapporti ordinari con un paese in cui il regime al potere si mostra sprezzante nei confronti delle domande di verità e giustizia relative alla morte di un nostro connazionale? E totalmente sordo rispetto a quanto le organizzazioni per la tutela dei diritti umani documentano a proposito delle violazioni sistematiche delle garanzie fondamentali della persona in quel paese?
Infine, non va dimenticato che il corpo di Giulio Regeni richiama quello che sua madre ha definito “tutto il male del mondo”: ovvero la pratica ignobile della tortura, strumento di assoggettamento e mortificazione della dignità umana nelle politiche di repressione di tutti gli stati totalitari e non ancora fattispecie penale introdotta nell’ordinamento della Repubblica italiana. Ecco, penso che la politica da una matassa così intricata e insanguinata possa derivare motivazioni per rinnovarsi e operare.