Pochi giorni prima delle elezioni regionali, il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, ha esortato gli italiani a votare tenendo conto di quei «valori non negoziabili che emergono alla luce del Vangelo, ma anche per l’evidenza della ragione e del senso comune». Innanzitutto quindi il rispetto assoluto per la dignità della vita. L’appello di Bagnasco, com’era prevedibile, fa discutere. La Cei lo ripete oggi in una nota: non ci può essere «solidarietà sociale» se «si rifiuta o sopprime la vita». In altri termini, una cultura contraria alla vita mina le basi della convivenza civile. Bisognerebbe, ha detto ieri Bagnasco, che si tornasse a «scorgere qualcosa di sacro in ciò che fonda ogni società».
Non sembra un compito facile. Il nostro paese, per dirla con un recente editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, raccoglie i frutti di una «grande trasformazione dello spirito pubblico», che non lo fa più essere un paese in maggioranza cattolico. «Quell’articolo è importante – dice a ilsussidiario.net Pietro Barcellona, filosofo del diritto – perché pone una questione reale: questa società non è più cristiana».
Lo sapevamo da tempo, professore, o no?
Sì, ma Galli della Loggia lo dice in modo particolarmente efficace. Ha il merito di denunciare un pericoloso clima anticattolico. E porta le prove di un progressivo allontanamento dalla Chiesa cattolica, che non è solo secolarizzazione, come l’abbiamo finora conosciuta, ma desacralizzazione del popolo italiano. «Radicalismo enfatico – dice – nutrito d’acrimonia» contro la Chiesa e l’idea stessa di una istituzione cristiana. La sua prospettiva però è parziale.
Che cosa verrebbe trascurato?
Galli vede tutto nello schema del rapporto della Chiesa col mondo esterno. Ma non è così, perché la scristianizzazione colpisce anche la Chiesa al suo interno. Bagnasco lo dice a proposito dei preti. «L’apertura al mondo, ai fatti della vita, alla contemporaneità, non va scambiata con l’ingenua condiscendenza allo spirito del tempo».
In poche parole, che cosa non dice Galli della Loggia secondo lei?
Al di la del fatto che l’irrisione, l’aggressività e il radicalismo vadano a colpire la Chiesa, quando questo accade non è in gioco solo la Chiesa ma la stessa identità dell’essere uomo. Questo è il punto. Perché un uomo che non ha più alcun rapporto con le questioni di Dio e della Chiesa, è un uomo che si è impoverito.
Da non credente sembra preoccupato per la Chiesa. Perché?
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La mancanza di fede, l’incapacità di porsi con uno spirito profetico rispetto ai problemi angoscianti di quest’epoca, è un aspetto che colgo anche all’interno della Chiesa. Mi trovo spesso, purtroppo, di fronte a professioni di appartenenza alla Chiesa cattolica, e al tempo stesso a comportamenti e convinzioni che ne sono estranei.
Gli scandali sessuali, per esempio?
No. Quelli sono un fatto tragico, ma anche un problema a parte. Mi riferisco invece a quello che lo stesso Joseph Ratzinger, nella via crucis che precedette la sua elezione a pontefice, aveva denunciato con toni commoventi, quando disse che c’era una Chiesa che non era più capace di svolgere il compito che per sua missione dovrebbe avere. Quello di portare dentro questa vita quotidiana, sempre più svuotata e annichilita, la questione del significato vero dello stare al mondo. Di far pensare ad una presenza misteriosa che non può che inquietarci, e farci pensare.
Galli della Loggia parla di un cinismo secolare degli italiani, quel cinismo «che sa come va il mondo e dunque non se la beve». Il cinismo degli scettici, insomma.
Il problema è più profondo. L’uomo di oggi sta attraversando una fase terribile, perché non ha più vita interiore, non segue all’interno di sé alcun principio o regola, ma asseconda semplicemente le proprie scariche pulsionali. È in balia di un edonismo tragico che non lascia nessuno spazio, non solo al pensiero, ma neanche all’amore. Siamo totalmente privi di una proiezione verso il futuro. Ma per averla serve sperare. Invece, siamo definiti dall’istante.
Di chi sono le responsabilità?
Lei mi ha parlato di cinismo. Il primo cinismo in Italia è quello di un ceto di intellettuali mercenari che non danno minimamente la sensazione di credere in quello che dicono, ma che scrivono per ragioni di opportunità e di potere. Non si mettono in campo per testimoniare una verità, ma per dare regole e consigli. Usano un linguaggio istintivo più che trasformativo. Non coltivano pensieri; privi come sono di un’impostazione «socratica», li fanno morire.
A leggere i giornali sembra quasi che Bagnasco sia intervenuto solo per dire ai cattolici di non votare contro l’aborto, invece il suo discorso è più complesso. «È la fede – dice – il vero caso serio della vita».
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La Cei si mette in una posizione «normativa» più che problematica. Fa affermazioni condivisibili, forse al di sotto della soglia di drammaticità che stiamo vivendo. La società nella quale ci troviamo persegue un benessere consacrato da una visione ecumenica in cui la religiosità coincide con l’etica. L’evento di Cristo, che irrompe nella storia, può essere messo da parte.
E invece?
Di teorie è pieno il mondo. Sono convinto che oggi la discontinuità che fu introdotta da quell’evento debba essere messa a pietra angolare. Perché è la pietra dello scandalo, ed è solo la pietra dello scandalo che può essere l’occasione per una nuova creazione.
Che cosa non la convince del messaggio del card. Bagnasco?
Il sacro di cui parla Bagnasco non è scindibile dalla tormentosa condizione in cui si trova l’essere umano. O è sacro l’uomo nella sua interiorità travagliata, dove ci sono speranze e conflitti, oppure questo sacro si perde, perché diventa «esterno». E ultimamente, estraneo.
Secondo lei l’intervento del capo dei vescovi contravviene al principio di laicità?
No, la Chiesa sui cosiddetti «principi non negoziabili» è sempre intervenuta e lo farà sempre. Io avrei preferito un attacco contro la mentalità dominante più che la dichiarazione o l’ammonimento a non votare chi è per il divorzio e l’aborto. Ma non ho mai avuto, neanche da politico, la preoccupazione di un’ingerenza della Chiesa.
La Bonino ha replicato a Bagnasco, dicendo che «sono le solite cose».
Non ho mai condiviso le posizioni dei radicali, e da parlamentare del Pci mi sono sempre speso per bloccare il loro ostruzionismo ottuso. La Bonino poi non ha niente a che fare né con Roma né con la storia della sinistra. Ma purtroppo queste elezioni sono legate a candidature occasionali, senza disegno. Sono elezioni più vecchie di quanto non si possa immaginare.