Peppino Impastato come Giulio Regeni: a dirlo non sono i giornalisti, sempre pronti a trovare “mirabolanti” paragoni per poterci scrivere articoli, ma è il fratello del giornalista ucciso 40 anni fa esatti dalla Mafia del boss Badalamenti. Tra le tante manifestazioni oggi a Cinisi per ricordare Peppino, ci sarà Giovanni Impastato, il fratello appunto, che anticipa quanto dirà questa sera ai genitori di Regenti in collegamento Skype con la piazza: «Peppino e Giulio sono uniti da molte similitudini. Due giovani che hanno fatto della difesa dei diritti negati il filo conduttore delle loro brevi vite. Entrambi oggi fanno sentire la loro voce, attraverso l’impegno di persone fermamente disposte a non rinunciare alla verità e alla giustizia». Secondo la figlia di Giovanni, Luisa Impastato, lo zio assassinato rappresenta per davvero quanto oggi invece simbolicamente “interpreta” la tragedia dello studente ricercatore ucciso in Egitto e ancora senza carnefici scovati. «Sono due personaggi legati alla ricerca della verità e della giustizia. I familiari di Regeni si impegnano per raggiungere la verità. Questo si collega anche al depistaggio che c’è stato nel caso di Peppino. L’impegno dei suoi familiari e compagni ha permesso, anche se ci sono voluti 24 anni, di arrivare a una verità giudiziaria», spiega in una intervista al TPI la nipote di Peppino Impastato, anche lei presente questa sera nelle manifestazioni di Cinisi. (agg. di Niccolò Magnani)
BADALAMENTI COLPEVOLE SOLO NEL 2002
Ci vollero sei anni prima che si riconoscesse la matrice mafiosa della morte di Peppino Impastato. E’ nel maggio 1984 infatti che il tribunale di Palermo emette una sentenza in cui si accusa Cosa nostra dell’omicidio del giornalista ucciso il 9 maggio 1978, fino allora si era indagato su un tentativo di attentato terroristico dello stesso Impastato, morto con la bomba che doveva piazzare su dei binari. Due anni dopo invece finalmente si comincia a parlare del boss Gaetano Badalamenti come mandante dell’assassinio, e nel 1988 il tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria al mafioso, nel frattempo condannato in America a 45 anni. Ma solo nel 2002 Badalementi viene riconosciuto dalla giustizia italiana colpevole. (Agg. Paolo Vites)
IL CLAN BADALEMENTI
In un servizio di RepubblicaTv viene intervistato qualche compagno e solidale di Peppino Impastato che in quella Sicilia degli Anni Settanta si impegnò contro l’odiosa “banalità” e “dominio” della mafia. Non era solo un uomo tutto d’un pezzo il buon conduttore radiofonico ucciso dalla clan Badalamenti, ma era anche un grande uomo di spirito: come spiega Pino Manzella, «Peppino Impastato viene descritto spesso come un politico tutto d’un pezzo, ma era anche un giovane a cui piaceva divertirsi». Paolo Chirco invece racconta come un giorno ebbe un’idea geniale, «dato che non ci autorizzavano ad esporre una mostra. Ognuno di noi si mise sulle spalle un cartello». Insomma, un uomo libero che in quei “cento passi” fece capire alla Sicilia, con un piccolo ma significativo esempio, cosa volesse dire combattere per le proprie idee “incarnate” nell’amicizia con gli altri (pochi) anti-mafiosi. Un modo di combattere la mafia di Cosa Nostra che poi si riscontrò in tanti altri illuminati protagonisti, lasciati troppo soli dallo Stato ma soprattutto dalla comunità sociale e per i quali noi tutti dobbiamo molto. (agg. di Niccolò Magnani)
IL DEPISTAGGIO DEI CARABINIERI
Non era neanche iscritto all’albo dei giornalisti, Peppino Impastato, eppure fece più rumore e notizia di tantissimi giornalisti veri. Per il fratello Giovanni “i mafiosi hanno commesso un errore, perché mettendolo a tacere, hanno amplificato la sua voce”. Sempre il fratello dice che Peppino alla lunga magari avrebbe stancato e si sarebbe ripetuto, ” Invece così ha per sempre ragione, ha per sempre voce in capitolo. E gli altri ad ascoltare”. Ucciso in modo orribile, dilaniato da una carica di tritolo, il corpo ridotto a brandelli. Eppure ci fu chi tentò il depistaggio. I carabinieri scrissero nel rapporto ufficiale che era morto mentre tentava di mettere una bomba sui binari della ferrovia: era stato legato ai binari già morto e poi fatto saltare in aria, massimo dispregio, come a volerne eliminare ogni traccia. Invece la gente sapeva: quel 9 maggio di 40 anni fa appena saputo della sua morte migliaia di giovani arrivarono da tutta la Sicilia urlando che a ucciderlo era stata la mafia, di fatto fu la prima manifestazione di piazza in Sicilia contro Cosa Nostra. Anche se morto, fu votato dal 6% degli abitanti di Cinisi, il Pci prese solo il 10%. (Agg. Paolo Vites)
FATTO A BRANDELLI DA UNA CARICA DI TRITOLO
Moriva 40 anni fa Peppino Impastato, l’attivista di Cinisi, provincia di Palermo, che aveva deciso di sfidare la mafia apertamente, a viso aperto, consapevole delle ripercussioni alle quali sarebbe potuto andare incontro. Alla fine fu ucciso da quegli stessi mafiosi che aveva deciso di combattere, l’ordine arrivò dall’alto: direttamente da Tano Badalamenti, uno dei boss più famosi e pericolosi di Cosa Nostra. Ma l’eredità lasciata da Peppino Impastato ha oltrepassato 40 anni senza ridurre il suo impatto. Grande merito va al film I Cento Passi, l’opera diretta da Marco Tullio Giordana in cui un bravissimo Luigi Lo Cascio interpreta Peppino Impastato. La scena cult del film è quella in cui Peppino trascina il fratello dalla propria abitazione fino a quella di “Zu Tanu”, Tano Badalamenti, appunto. Cento i passi che dividevano la loro casa da quella del boss, ossequiato perfino da loro padre. E’ anche a questa prassi, fatta di rispetto e paura, che Peppino ha deciso di ribellarsi. (agg. di Dario D’Angelo)
PEPPINO IMPASTATO, MORTO 40 ANNI FA
Moriva esattamente 40 anni fa Peppino Impastato, attivista contro la mafia originario di Cinisi, in provincia di Palermo. Fu uno dei più grandi sostenitori della lotta alla mafia sicula negli anni ’60 e ’70, e morì infatti assassinato proprio per mano della malavita organizzata. Nella notte fra l’8 e il 9 maggio il suo cadavere venne trovato sui binari della ferrovia, e per oltraggiare la sua memoria venne inscenato un suicidio. Peppino nacque da una famiglia malavitosa (in particolare lo zio e il cognato), e proprio per questo rifiuto nei confronti dei parenti iniziò ad attivarsi contro la malavita fin da ragazzo. E’ soprattutto negli anni ’70, però, che la lotta alla mafia si intensificò, visto che nel ’77 fondò Radio Aut, un’emittente in cui denunciava i crimini e gli affari dei mafiosi locali, a cominciare da Gaetano Badalamenti, considerato un elemento di spicco nei traffici di droga internazionali.
LA CANDIDATURA POI L’ASSASSINIO
Il programma di massimo ascolto era Onda pazza a Mafiopoli, una trasmissione satirica in cui venivano presi di mira non soltanto i mafiosi, ma anche i politici. Nel 1978 decise di candidarsi alle elezioni provinciali con Democrazia Proletaria, nonostante svariate minacce: purtroppo non fece in tempo ad essere eletto visto che, come detto sopra, venne assassinato a inizio maggio. Pochi giorni dopo gli elettori di Cinisi votarono comunque il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, seppur simbolicamente, al Consiglio Comunale del paese. La sua morte, all’epoca, passò un po’ inosservata visto che il 9 maggio dello stesso giorno morì anche Aldo Moro, storico presidente della DC.