“Ho firmato cambiali per 25 minuti… Certo che ce la facciamo: abbiamo sempre pagato tutto” annunciava alla moglie Ugo Tognazzi ne I mostri, esortandola a portare i bambini, anziché a letto, alla finestra, per vederlo arrivare a bordo della Fiat 600 nuova fiammante. Erano gli anni Cinquanta e gli italiani si indebitavano per stare al passo coi tempi: la macchina, il frigorifero, il televisore…
Cos’è cambiato da allora? Tutto e niente. Certo, i generi di prima necessità del Dopoguerra sono stati rimpiazzati da più effimeri – ed economicamente meno impegnativi – smartphone, tv digitali e tablet pc e i prestiti personali e le carte revolving hanno mandato in pensione le cambiali, ma la sostanza è rimasta la stessa, se ancora lo scorso anno in media ogni italiano ha ottenuto due finanziamenti, per un indebitamento totale di quasi 53 miliardi di euro.
Quella che è cambiato davvero, invece, è che se, come diceva Tognazzi, “abbiamo sempre pagato tutto”, adesso non paghiamo più: il 10,5% delle famiglie indebitate non paga le rate del proprio finanziamento. Complice la crisi, che certo non aiuta, ma anche un certo “lassismo morale” per cui, diversamente dagli anni Cinquanta, quando la reputazione agli occhi altrui aveva ancora un certo peso, poco importa finire nella lista dei cosiddetti “cattivi pagatori”. E, soprattutto, una tendenza, quella di considerare come forma di pagamento il denaro contante alla stregua di un residuato bellico, un vecchiume da lasciare in soffitta.
Perché altrimenti non si spiegherebbe come mai, se è vero com’è vero che la crisi c’è anche in Spagna, in Irlanda, in Portogallo, in Francia, il Bel Paese si distingua per il primato nella classifica degli insolventi. Il dato, sorprendente fino a un certo punto, è contenuto in uno studio dei ricercatori della Banca d’Italia Silvia Magri, Raffaella Pico e Crisiana Rampazzi pubblicato nella serie degli Occasional Papers: “La percentuale di famiglie inadempienti sul credito al consumo – si legge nella ricerca – variano considerevolmente da Paese a Paese. La più bassa si registra nel Regno Unito (2,3%) e la più alta in Italia (10,5%, ma in calo rispetto al 2005). Negli altri Paesi coperti dallo studio, la quota è tra il 5 e l’8%».
Che vergogna: siamo gli unici, in Europa, a mostrare una percentuale a due cifre. Peggio di Paesi cosiddetti “deboli” come Spagna (8,4%) e Portogallo (7,8%). E non è questione di possibilità: mentre in Inghilterra quasi la metà delle famiglie che non riescono a ripagare il proprio debito è classificata come “povera”, in Italia quelle che davvero non possono permettersi di pagare le rate sono meno del 30%. Le altre, pur potendoselo permettere, semplicemente non pagano.
Il problema è la crisi, senz’altro, ma non solo. Si tratta anche di una questione culturale: le famiglie italiane, ce lo ripetono sempre tutti, sono le meno indebitate del Vecchio Continente: secondo uno studio della Cgia di Mestre, ogni famiglia italiana ha un debito medio pari a 24.512 euro (secondo Confartigianato, ogni famiglia italiana è esposta invece per 18.712 euro, ma la differenza non è così importante), contro i 37.094 della Germania, i 37.858 della Francia, i 54.640 della Spagna e i 67.588 del Regno Unito.
Per i sostenitori del Prodotto interno lordo come indicatore di benessere di un Paese, si tratta del 39,3% del Pil italiano, molto meno del 50,7% della Francia, del 61% tedesco dell’83,5% spagnolo e ad anni luce dall’eclatante livello di indebitamento privato delle famiglie inglesi, che addirittura supera di un decimo di punto percentuale il Pil. Resta da vedere, rapportato al reale benessere – o malessere – del Paese, cosa figuri nel Pil di un Paese e cosa no (ogni riferimento all’economia sommersa è puramente casuale e non voluto).
A riprova del fatto che il debito non è il nostro mestiere, c’è un altro dato contenuto nello studio dei ricercatori di Bankitalia: solo il 14,8% delle famiglie italiane ricorre al credito al consumo, contro il 46,1% degli inglesi (ma questo lo immaginavamo), il 45,9% dei finlandesi, il 44,4% degli irlandesi. Meno propensi all’indebitamento degli italiani ci sono solo gli olandesi (14,5%).
C’è da sottolineare il segno dei tempi che cambiano, nonostante ci si accanisca a non volerlo vedere. La somministrazione forzata di una sorta di elisir di eterna giovinezza al consumismo degli anni Ottanta ha fatto diventare il business della vendita una cosa a tre: accanto al consumatore e al venditore è comparso il finanziatore. E non si tratta di un terzo incomodo, tutti hanno, come si dice, “la loro bella convenienza”: il compratore, che non ha la disponibilità economica immediata per l’acquisto del bene, il venditore, che incrementa il proprio volume d’affari, e, dulcis in fundo, il finanziatore, che incrementa il proprio capitale senza dover affrontare rischi e problemi logistici della vendita.
Il gioco è tanto bello che, volendosi divertire a riclassificare i bilanci della grandi aziende, per esempio quelle automobilistiche, si scopre che a reggere i conti non è più tanto la vendita del proprio prodotto, quanto l’apertura delle linee di credito per sostenerne l’acquisto. Tanto che ormai non sono poche le grandi corporation che, invece di appoggiarsi a istituti di credito terzi, hanno vere e proprie banche interne. E anche gli stessi esercenti offrono la merce dando per scontato che per acquistarla si debba ricorrere al credito al consumo. Basti dare un’occhiata ai volantini con le promozioni delle grandi catene di distribuzione: quello stampato in grande non è il prezzo dell’articolo, ma la rata del finanziamento.
La soluzione del rebus? Probabilmente sta tutta in un elemento che, di solito, è assente dalle statistiche: la psicologia spicciola. Ai consumatori è stata data la possibilità di comprare con soldi invisibili che, altrettanto invisibilmente, vengono prelevati, ovviamente con le maggiorazioni e gli oneri del caso, dai loro conti in banca e dai loro stipendi (quando ci sono).
Certamente si tratta di una procedura meno ansiogena del pacchetto di 24 cambiali da firmare per comprarsi la Fiat 600 e che restavano in circolazione fino a debito saldato. Ma forse togliere dalle mani degli italiani il pezzo di carta ha fatto diventare invisibili anche le rate. Evidentemente, per molti, quello che non si vede non c’è.