«Il disegno di legge sul biotestamento non entra nel merito di casi come quello della donna di Treviso. Chi lega questa vicenda con la legge che in settembre tornerà al Senato, lo fa per confondere le acque e cercare di introdurre l’eutanasia in Italia». Lo afferma il sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella, a proposito della sentenza del giudice di Treviso, che ha dato ragione a una 48enne con una malattia rara appartenente ai Testimoni di Geova, che aveva chiesto di non essere curata nel caso in cui si fosse in condizioni di salute disperate.
Onorevole Roccella, che cosa ne pensa della vicenda della signora di Treviso?
Innanzitutto occorre sottolineare che si tratta di una sentenza del gennaio scorso, e non a caso esce fuori adesso in questo momento. Dopo la pausa estiva infatti il progetto di legge sul biotestamento approderà in Senato per la terza e, immagino, ultima lettura. La 48enne di Treviso è una persona vigile, e quindi finché sarà in grado di intendere e di volere potrà sempre e senza alcun dubbio rifiutare o rinunciare alle cure. Quest’ultimo infatti è un diritto di tutti che non viene assolutamente toccato dalla legge, anzi caso mai viene sottolineato trasformando il consenso informato in una norma. Cioè si rende legge la prassi di chiedere il consenso scritto prima di applicare qualsiasi terapia. E quindi più che mai varrà il principio secondo cui a nessuno può essere imposta una terapia che non vuole.
Eppure diversi quotidiani hanno collegato la vicenda al caso Englaro…
E’ evidente che quello che hanno scritto questi quotidiani è assolutamente falso. Quando siamo in grado di intendere e volere, possiamo sempre rifiutare le cure, perché è una responsabilità personale. Altra cosa è quando non siamo più coscienti. In questo caso noi abbiamo applicato alla lettera la convenzione di Oviedo, che dice che «i desideri precedentemente espressi dal paziente saranno tenuti in considerazione dal medico». Non dice affatto che il medico è vincolato da quello che dice il paziente. Mi sorprende che la convenzione di Oviedo, che tanti hanno invocato quando si trattava del caso Englaro, adesso invece non basti più, perché nella nostra legge è applicata alla lettera. A parte il fatto che idratazione e alimentazione, di cui si discuteva durante il caso Englaro, che sappiamo non sono considerate terapie e quindi sono escluse dalla dichiarazione anticipata del trattamento.
Ma poniamo che un paziente dica che se ha un tumore, non vuole sottoporsi a chemioterapia. Potrà farlo?
Per tutto ciò che non rientra in alimentazione e idratazione, io posso esprimere delle indicazioni di terapia attraverso la dichiarazione anticipata di trattamento. Nel caso in cui non dovessi essere più cosciente, il medico le valuterà e le terrà in considerazione. Il problema è che la campagna sul caso Englaro e contro la legge sul biotestamento, è stata fatta molto a partire da un equivoco: in realtà quello che si vuole non è la libertà di scegliere le terapie, così come dice l’articolo 32 della Costituzione, bensì introdurre qualcosa di radicalmente diverso.
A che cosa si riferisce?
Al fatto che si vuole fare passare in modo mascherato l’eutanasia o il suicidio assistito. Arrivando così ai confini di qualcosa che la legge italiana già proibisce, senza bisogno quindi di ripeterlo nella legge sul biotestamento ancora in discuissione. Il titolo del Gazzettino sul caso della signora di Treviso era: «”Voglio morire”: il giudice dà l’ok». Quel «Voglio morire» non indica ciò che è successo a Treviso, ma si pone ai confini di eutanasia e suicidio assistito. Su questo dobbiamo essere chiari: abbiamo fatto una legge di libertà, in cui si rende obbligatorio il consenso, quindi si rafforza il fatto che a nessuno può essere imposta una terapia che non vuole finché è in grado di intendere e di volere. E quando non sarà più in grado di intendere e volere si applicherà alla lettera la convenzione di Oviedo.
(Pietro Vernizzi)