Una bambina di tre anni è stata affidata dal tribunale per i minorenni di Bologna a una coppia gay, due distinti signori di mezz’età da tempo conviventi. Ci si potrebbe chiedere, anzi è legittimo chiedersi, cosa ha mosso il tribunale a forzare la legge: l’articolo 2 della legge n. 184 del 1983, che regola l’affidamento familiare, elenca, nell’ordine di preferenza, una famiglia con figli minori, una famiglia senza figli minori, una persona singola, ma non prevede alcuna coppia di fatto, né etero né omosessuale. Affidare un minore a una coppia di fatto – e non rileva, fin qui, la tendenza sessuale dei suoi componenti – costituisce un riconoscimento di tali unioni che, allo stato, il legislatore non ha ancora effettuato; significa dare per acquisito ciò che invece è tutto da costruire, ossia la condivisione all’interno della coppia di una responsabilità (educativa, di assistenza, di mantenimento) quanto meno nei confronti del minore affidato. Non ci si nasconde che il risultato di inserire un minore affidato all’interno di una coppia non sposata potrebbe essere in concreto ottenuto mediante l’affidamento “a una persona singola”, ossia a uno dei due conviventi: ma in tal caso solo uno sarebbe l’affidatario, e solo a lui farebbero capo i doveri e le responsabilità che la legge prevede.
Ma, ancora, ci si può chiedere cosa ha mosso il tribunale a individuare gli affidatari in una coppia di signori gay. Si legge nella cronaca, necessariamente sintetica e inevitabilmente non esauriente, che la bambina li conosceva da tempo e li considerava quali affettuosi “zii”. Nulla è riferito circa la situazione dei genitori della bambina e, più in generale, dei suoi familiari, se non che, evidentemente, il tribunale li ha ritenuti allo stato non adeguati alle sue esigenze di cura ed assistenza. È possibile che, al di fuori della cerchia dei suoi non adeguati familiari, la bambina conoscesse solo i due signori in questione? E che tale conoscenza fosse così stretta, così significativa per la bambina, da sconsigliare la ricerca di un’altra famiglia affidataria? È sicuramente condivisibile la preoccupazione di valorizzare i rapporti positivi dei bambini collocati in affido, ma resta una seria perplessità ad ipotizzare che in tre anni di vita la bambina possa aver instaurato significativi rapporti con due “zii” estranei alla sua cerchia familiare, a meno che ciò non sia stato preordinato.
Infine, ci si può chiedere in che modo sia stato valutato l’interesse del minore, che è – almeno per ora – il parametro cui deve misurarsi ogni provvedimento di affido. Il fatto che i due “zii” abbiano un buon reddito e costituiscano una “coppia stabile ed affidabile” non basta per ritenere che essi costituiscano la miglior risorsa possibile per la piccola.
Rimango convinta che un provvedimento di affido familiare debba puntare a far fare ai bambini un’esperienza di crescita attraverso il rapporto con una figura maschile ed una femminile, un padre e una madre, per agevolare, in fase evolutiva, la libera espressione della loro identità (cosa cui spesso si appellano gli stessi gay) in un confronto stimolante tra due differenti modelli. Mi domando come una bimba di 3-4 anni possa fare esperienza di una figura femminile attraverso due uomini; come vivrà la fase edipica senza possibilità di alternative… Non sappiamo quanto questo collocamento sia destinato a durare; l’esperienza dice che molto spesso, ossia nella maggior parte dei casi, l’affidamento dura ben oltre il biennio, e in questo caso il prolungarsi porterebbe non pochi problemi.
Tutte queste domande non trovano risposta, per ora, in ciò che sappiamo dei fatti, ma insinuano il fastidioso dubbio che in realtà si sia partiti dal desiderio dei “due omosessuali” che adesso “festeggiano” . O, peggio ancora, che si sia voluto scrivere una pagina nuova nel mondo dell’affido (a volte i magistrati cadono in questa tentazione di profetismo protagonista…) aprendo in qualche modo la strada alle adozioni a favore delle coppie omosessuali.
La reazione del Garante dell’infanzia, che invoca “un dibattito in tema di diritti civili e quindi anche un confronto sulle adozioni alle coppie omossessuali”, è esattamente in questa linea. Resta da chiarire se i diritti civili sono solo quelli degli adulti o, per caso, anche quelli dei bambini; sarebbe interessante chiedere a un centinaio di bambine quanto sarebbero contente di crescere con due papà e nessuna mamma, o a un centinaio di maschietti il loro gradimento per una famiglia senza papà ma con due mamme… È che ai bambini queste cose non si chiedono.