Soprattutto in un momento di crisi economica come l’attuale, mentre tante famiglie nel nostro Paese fanno fatica ad arrivare alla quarta e persino alla terza settimana del mese (per non parlare di ciò che accade nei Paesi poveri del mondo) è inaccettabile che ogni giorno continui ad essere sprecata un’enorme quantità di prodotti alimentari. E non si può rimanere impassibili di fronte a questa ingiustizia, nemmeno pensando che gli sprechi sono fisiologici. Si sta parlando infatti di 5,5 milioni di tonnellate all’anno di prodotti alimentari che possono essere recuperate nel nostro Paese, il 58% dalle imprese e dai commercianti, il resto dai consumatori. Il dato emerge dall’indagine condotta da un’équipe di studiosi del Politecnico di Milano e della Fondazione per la Sussidiarietà, che hanno pubblicato i risultati della ricerca nel volume Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità, curato da Paola Garrone, Marco Melacini, Alessandro Perego (ed. Guerini e Associati).
La ricerca risponde ad almeno tre obiettivi: sapere dove si annidano i prodotti alimentari da recuperare e da destinare alla lotta contro la povertà, verificare le inefficienze della filiera alimentare perché possa recuperare competitività, educare le persone al valore dei prodotti alimentari in un’epoca di consumismo.
Molto interessante è il “focus” della ricerca sulle famiglie italiane: tra alimenti scaduti o andati a male, vengono buttati ogni anno 42 kg di cibo per persona, il 42% di tutto lo spreco alimentare in Italia.
È una cifra considerevole ma che se comparata a stime analoghe fatte sulle famiglie britanniche ed americane, mostra che in questi due Paesi lo spreco medio domestico è molto più grande, fino a 3-4 volte. Diversi accorgimenti quali una maggior frequenza della spesa, un controllo delle date di scadenza, una pianificazione degli acquisti che, uniti alle abitudini alimentari (pasti e cene a tavola non aprendo da soli il frigorifero) e a tradizioni culinarie che da sempre utilizzano gli avanzi, permettono alle famiglie italiane di sprecare meno alimenti rispetto alle famiglie anglosassoni, i cui governi sono comunque impegnati nella cosiddetta “food waste hierarchy”, che mira sia a ridurre le eccedenze “all’origine” con opportuni interventi nelle imprese, nel commercio, nelle famiglie sia ad impedire che le eccedenze “strutturali” diventino spreco, con la donazione ai poveri.
Un altro importante approfondimento della ricerca è nell’analisi della collaborazione per il recupero delle eccedenze tra singole imprese e loro associazioni, food banks (tra cui spicca tra tutti la Rete Banco Alimentare grazie alla quale ogni giorno vengono sfamati circa 2 milioni di poveri), enti caritativi (che hanno contatto diretto con le persone indigenti), ed istituzioni (Camere commercio, ministeri dell’Agricoltura, dello Sviluppo economico e dell’Ambiente). Tale collaborazione raggiunge già significativi risultati nel settore della trasformazione industriale (recupero del 35% delle eccedenze) e nei centri della grande distribuzione (ancora 35%), dove le eccedenze sono più fungibili (ovvero “facilmente” recuperabili).
Nella ricerca si mette quindi in luce che anche nei settori più “difficili”, come la ristorazione collettiva, i negozi della distribuzione, l’agricoltura, solo una crescita di questo tipo di collaborazione può permettere di diminuire gli sprechi e di recuperare eccedenze da distribuire ai bisognosi.
In sintesi, perciò, la ricerca ha permesso di apprendere due cose fondamentali: la prima è che molto si può fare ancora per ridurre lo spreco (ciò che non può essere recuperato) nella filiera, ma anche compiere un passo decisivo nel recupero delle eccedenze a vantaggio delle persone indigenti. Il tutto rendendo consapevoli e responsabili i diversi attori in gioco. Oggi quasi 1 miliardo di euro di cibo viene recuperato; per il futuro l’obiettivo è portare sulla tavola dei poveri altri 6 miliardi di euro di cibo.
La seconda è, come si evince dal dato sulle famiglie italiane e dalla collaborazione virtuosa tra realtà profit, non profit e istituzioni, che nessuna crisi e nessuno spreco si vincono con la bacchetta magica o con proclami, ma con un lavoro di quotidiana e paziente educazione. Anche la lotta allo spreco alimentare non avviene senza un’educazione delle persone e di tutti gli attori del sistema a considerare anche il cibo come un dono, non solamente come un bene disponibile. Quindi, in sintesi, si evita lo spreco se si educa.