L’8 aprile si festeggia San Dionigi vescovo di Alessandria, da non confondere con l’omonimo vescovo di Corinto, la cui ricorrenza cade comunque il medesimo giorno. Dionisio di Alessandria, noto anche come Dionisio il Grande, nacque nel 190 d.c. e viene ricordato in quanto fu il secondo papa della Chiesa Coopta. Sia quest’ultima che la Chiesa Cattolica assieme a quella Ortodossa lo venerano come Santo. Nato da genitori pagani, visse in una condizione agiata fino al momento della sua conversione. Uomo di immensa cultura, giunse alla fede proprio grazie alle sue letture cristiane, e cominciò il suo cammino da fedele diventando discepolo di Origene. Attorno al 231, quando era già divenuto sacerdote, successe a Eraclas nella direzione del Didascalèion, sebbene fosse già sposato e avesse dei figli. Il suo episcopato cominciò nel 247, e durò ben diciassette anni, nel corso dei quali dovette subire tre persecuzioni, tra cui la più importante fu la seconda, quella di Decio, tra le più feroci che la storia ricordi. Di questo infausto evento lo stesso Dionigi ne descrive l’efferatezza nelle lettere indirizzate a Germano e Fabio. La fortuna sorrise a Dionisio nel momento in cui Sabino, l’allora prefetto di Alessandria d’Egitto, emanò l’editto di persecuzione. Venne ricercato nei posti più impensabili ma nessuno pensò mai di andarlo a scovare nel suo palazzo, luogo in cui invece rimase per i primi quattro giorni, non senza preoccupazioni. Decise di fuggire proprio la sera del quarto giorno, a causa dei disordini crescenti in città, e venne arrestato quasi subito dalle guardie imperiali. Una folla di contadini festante capitò casualmente proprio in quel momento, riuscendo a liberarlo e consentendone la fuga. Fece ritorno ad Alessandria d’Egitto verso la fine del 251, appena ebbe notizia della morte di Decio. Vi rimase senza problemi problemi per altri sei anni, fino allo scoppio della terza persecuzione, sotto il governo di Valeriano. Il Santo partì in esilio a Kephro, nell’attuale Libia e successivamente a Kolluthion. Il periodo dell’esilio fu molto importante per lui, in quanto si dedicò ad evangelizzare le genti del posto, ancora all’oscuro dei precetti cristiani. Poté fare ritorno ad Alessandria solo dopo che la disfatta militare dell’esercito di Valeriano divenne. Lo stesso imperatore rimase prigioniero dei Persiani. Era il 260, e grazie a un editto di Gallieno, Dionigi acquisì nuovamente la libertà. Ma le peripezie affrontate dal Santo non finirono qui. Infatti, Alessandria d’Egitto fu sconvolta da una nuova rivoluzione, a causa della quale Dionigi venne estromesso dalla comunità dei propri fedeli, riuscendo a comunicare con loro solamente tramite alcune lettere. Le conseguenze della guerra, tra cui carestia e peste, diedero il colpo di grazia al povero Santo, che terminò la sua vita avvolto dal dolore nel 264. Proprio in quell’anno ricevette l’invito ufficiale per prender parte al Sinodo di Antiochia, nel corso del quale si sarebbero dovute discutere le dottrine di Paolo di Samosata. Il Santo si scusò umilmente e rifiutò la partecipazione, provato dalle sue condizioni fisiche carenti. Nel corso della sua vita scrisse una gran quantità di lettere, che purtroppo sono andate quasi tutte perse, eccezion fatta per due rari esemplari e alcuni altri frammenti sparsi.
Nelle epistole Dionigi dava il suo punto di vista su questioni teologiche di massima importanza, chiarificando molti passaggi complessi e controversi della dottrina ecclesiastica. Fu promotore dell’usanza cristiana di perdonare gli individui giunti agli ultimi istanti di vita, se questi ne facevano esplicita richiesta, e in particolar modo se avevano presentato domanda per tempo. Tra le sue lettere compaiono anche alcuni trattati, tra cui si ricordano quelli contrari alla filosofia Epicurea e al Millenarismo, il trattato sul sabato e quello sulle tentazioni. Dionigi fu a suo tempo accusato di scindere le tre persone della Trinità, motivo per cui compilò un’apologia suddivisa in quattro libri, in cui ribadì l’inseparabilità del Padre dal figlio e dallo Spirito Santo. Accanito ortodosso, non temeva il pericolo, rimanendo un modello da seguire per gli esempi che era in grado di portare ai fedeli e per la sicurezza con cui difendeva la sua dottrina. Nonostante la sua memoria venga celebrata l’8 aprile, il martirologio Romano lo ricorda il 17 novembre.