Se nel processo di primo grado a carico di Massimo Bossetti l’attenzione si era concentrata quasi interamente sulla prova regina del Dna, la stessa che poi portò la Corte di Bergamo a condannare all’ergastolo il muratore per il delitto di Yara Gambirasio, nell’Appello il punto centrale della difesa sembra essere un altro: le fotografie satellitari. Sarebbero queste, secondo gli avvocati dell’imputato, la chiave dell’intero caso e che contribuirebbero a provare l’innocenza del proprio assistito, da anni ribadita con forza dallo stesso e dalla sua famiglia. Nel corso dell’ultima udienza, infatti, non sono mancate le scintille tra accusa e difesa proprio in merito alle fotografie in oggetto con le quali gli avvocati di Massimo Bossetti cercano di dimostrare come il corpo della 13enne di Brembate uccisa nel novembre 2010 non possa essere rimasto per tre mesi nel campo di Chignolo d’Isola, dove poi fu rinvenuto il 26 febbraio 2011.
A darne notizia è Blitz Quotidiano che spiega come nell’ultimo appuntamento in aula, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Brescia la difesa del carpentiere di Mapello ha mostrato alcune fotografie satellitari scattate appena un mese prima del ritrovamento del cadavere della piccola 13enne e poi una foto scattata proprio il giorno del 26 febbraio 2011, tre mesi dopo la sua misteriosa scomparsa.
In quest’ultima immagine si vedono le tute degli agenti della Scientifica proprio accanto al cadavere della piccola Yara. La foto è stata quindi sovrapposta all’immagine satellitare con l’indicazione esatta del punto in cui fu trovato il corpo della vittima. La tesi della difesa, infatti, va a contraddire quella dell’accusa: i due difensori di Bossetti sono convinti che il corpo della 13enne non rimase nel campo di Chignolo per tre mesi ma fu trasportato solo in un momento successivo all’omicidio. Uno dei difensori della famiglia Gambirasio, l’avvocato Andrea Pezzotta, dopo le slide presentate in aula ha commentato durissimo: “Quella foto è tarocchissima, siamo ben oltre il limite e mi riservo un esposto”. Secondo i difensori dell’imputato, la fotografia presentava una barretta in grado di evidenziare dove si trovasse il corpo di Yara che dall’immagine mostrata in aula non si vede. La replica degli avvocati di parte civile non si è fatta attendere: “Quella barretta dovrebbe rappresentare l’altezza del corpo di una persona ma è in proporzione più larga della strada che è larga tre metri. È un falso”.
A rimarcare la debolezza della tesi della difesa di Massimo Bossetti in riferimento alla foto che, a sua detta, confermerebbe l’ipotesi dell’assenza del corpo di Yara Gambirasio nel campo di Chignolo prima del suo ritrovamento, è stato anche il settimanale Giallo. La redazione del noto giornale specializzato in cronaca nera, ha lavorato all’analisi della foto in oggetto. A spiegare bene il risultato del lavoro compiuto è stata la giornalista Albina Perri che, prendendo in esame la foto pubblicata sul sito Macchianera.net e ponendo l’accento sul cerchio che rappresenterebbe il punto esatto del ritrovamento del cadavere di Yara, giunge ad alcune importanti conclusioni. “La posizione è esattamente quella che aveva il corpo della ragazzina quando venne ritrovato: testa verso la provinciale 160, piedi verso la sterrata, continuazione di via Badeschi”, scrive la Perri. La giornalista avrebbe quindi perfettamente riconosciuto la posizione della 13enne basandosi anche su una serie di incredibili coincidenze ed anche su Facebook chiarisce il suo pensiero allegando una foto esplicativa. “Vi faccio notare inoltre che questi pochi punti scuri riempiono uno spazio che è circa la metà della sterrata, larga tre metri. E Yara era alta un metro e mezzo. È lei? È probabile, tutto coincide”, aggiunge la giornalista. Come sostenuto dall’accusa, dunque, è probabile che il corpo della povera Yara fosse proprio racchiuso all’intero di pochi pixel neri.