100mila euro da pagare a sette detenuti attualmente nei carceri di Busto Arsizio e Piacenza come risarcimento morale e la richiesta di porre rimedio al sovraffollamento delle nostre carceri entro un anno di tempo. E’ la sentenza della Corte europea di Strasburgo che ha condannato l’Italia per violazione dei diritti umani. Una sentenza che, come ha detto il ministro Severino, era da aspettarsi, ma che forse aprirà finalmente uno spiraglio nella drammatica situazione carceraria italiana. Lo dice Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, contattato da Ilsussidiario.net, spiegando che questa condanna differisce in modo dirompente dalla precedente già rilasciata dalla Corte nel 2009. “Data la cifra che lo Stato italiano dovrà pagare e visto che ci sono già centinaia di altri ricorsi pronti, all’Italia non conviene neanche più economicamente tenere i detenuti nelle condizioni bestiali in cui si trovano attualmente”.
In cosa si distingue questa nuova condanna rispetto a quella che c’era stata nel 2009?
Si distingue dalla precedente per tre ordini di motivi. In buona sostanza, questa è una sentenza ancora più dirompente.
Ci spieghi perché.
Il primo è che essendo una sentenza-pilota, essa vedrà molte sentenze fotocopia, se le condizioni rilevate saranno identiche. Non ci sarà cioè ogni volta un nuovo procedimento diretto per ascoltare le ragioni dello Stato italiano. Le ragioni sono già state ritenute non soddisfacenti e pendono già tanti altri ricorsi. Noi soli come associazione abbiamo presentato già 140 ricorsi collettivi e ci hanno fatto già sapere dalla Corte che nei prossimi giorni arriveranno le prossime due sentenze.
Il secondo motivo?
La Corte ha dato un tempo preciso all’Italia per risolvere la cosa. Non è che il nostro paese potrà stare con le mani in mano. A differenza della precedente sentenza, la Corte ha detto che bisogna rimediare la situazione attuale. La decisione su come farlo ovviamente è dell’Italia visto che siamo uno Stato sovrano, ma la Corte dice che ci sono indicazioni che dovranno essere ascoltate e tenute in considerazione. Ovviamente siamo in campagna elettorale e non si può far nulla ma si possono prendere impegni seri già adesso. Infine il terzo motivo: nel precedente caso il ricorrente aveva ottenuto un risarcimento di circa mille euro, adesso l’Italia deve pagarne 100mila ai vincitori del ricorso, perché le loro condizioni erano peggiori rispetto a quelle del carcerato recluso a Rebibbia.
Dunque non conviene più tenere le persone in questo stato neanche dal punto di vista economico.
Esatto. Uno stato bestiale, dove le persone ammassate in pochissimi metri quadri. Ci vuole perciò una decisione anche per interrompere il circolo vizioso dei risarcimenti.
Intanto siamo davanti al recente brutto esempio del decreto lavoro nelle carceri bocciato a Natale dal Senato: possiamo avere fiducia che si faccia davvero qualcosa?
Quel caso è stato incredibile. Un paese dove il capo dello Stato per il secondo anno consecutivo solleva il problema, dove le massime autorità morali e religiose e istituzionali si sono poste il tema anche con toni drammatici e tutto questo non produce nulla per colpa di una classe politica ingessata e impaurita, non può andare avanti. In più, a poche settimane dal voto tutti cercano di racimolare consenso evitando di impegnarsi su questo fronte.
Che cosa si aspetta che faccia la classe politica?
Questo è il momento in cui le forze politiche che vanno al voto devono dire come intendono risolvere la situazione. C’è chi dirà, già me lo immagino, che lo risolveranno costruendo nuove carceri, ma questa è pura propaganda.
Perché?
Non è mai stato fatto in passato di costruire nuove carceri e oggi non ci sono nemmeno i soldi per farlo. Bisogna intervenire invece sulle cause di questa carcerazione di massa che non ha nulla a che fare con la sicurezza dei cittadini.
E con che cosa invece?
Le parlo di casi conosciuti di persona, come quello di un detenuto che era tossicodipendente alla fine degli anni 90 e che a undici anni dal fatto ha visto la sentenza diventare esecutiva. Nel frattempo si era totalmente reinserito nella società lavorando e facendosi una famiglia: ha dovuto spiegare che andava in carcere per fatti commessi undici anni prima. Oppure un extracomunitario che ha accumulato undici anni di carcere per denunce perché vendeva cd contraffatti. Bisogna mettere mano a questi casi con coraggio.
Si può dire che oltre al sovraffollamento delle carceri c’è anche un problema di giustizia inefficiente?
Certo: una giustizia lenta, selettiva e burocratizzata che non riesce più a essere coerente con il suo significato costituzionale.
Nel 2009 si rispose alla prima condanna con il piano carceri, oggi si è lavorato al cosiddetto piano salva carceri: lei ritiene che si sia fatto un passo in avanti?
Personalmente, do merito al governo uscente di aver cambiato le parole d’ordine, non avendo accelerato sui temi dell’intolleranza. Si è insomma passati dal ministro Castelli che definiva le carceri hotel a cinque stelle a chi si è reso conto che il problema esiste. Ma si è fatta tanta propaganda: parlare di salva carceri a chi conosce il mondo penitenziario come noi e visita tutti i giorni i carceri, fa ridere.
In che senso?
Perché non è stato salvato nulla e tutti sapevano che non poteva essere salvato nulla. E’ stato un provvedimento tampone e non risolutivo. Ci vuole ben altro. A proposito invece del piano carceri, siamo davanti a un totale fallimento. E’ un piano partito nel 2010: siamo nel 2013 e non un solo mattone è stato posato per costruire nuove carceri. Andrebbe chiuso e i soldi usati per progetti di recupero facendo uscire le persone dal carcere con misure alternative e inserendiole nelle comunità terapeutiche. Sto parlando di 450 milioni di euro bloccati per carceri che non si faranno mai.
Il caso Pannella: solo clamore mediatico o iniziativa di qualche utilità?
Pannella ha il merito di essere quello che ha posto il tema pubblico e quindi aver lottato perché la questione diventasse di tutte le forze politiche. Nella nuova legislatura le riforme penali necessarie per far sì che questa ondata di affollamento si arresti, dando una buona risposta alla Corte europea, sono secondo me queste: riforma della legge sulla droga, riforma di quella sull’immigrazione, riforma della recidiva e della custodia cautelare. Contemporaneamente, per far ripartire il sistema un provvedimento di amnistia ci vorrebbe, perché chiunque conosce il sistema carcerario sa che quelle leggi prima di entrare in funzione ci vogliono almeno due anni prima cioè di produrre un effetto decongestionante. Il sistema deve ripartire da numeri decenti e nel frattempo non c’è scusa per l’amministrazione penale per non trattare bene i detenuti.
(Paolo Vites)