La vicenda dolorosa di Catania è semplicemente mal posta. Se una giovane donna muore con in grembo due gemelli, è un problema di malasanità, non di obiezione di coscienza. Valentina era in cura, gravidanza assistita. E’ stata ricoverata per complicazioni, e per ben due settimane. Qualcuno doveva capire cosa non andava e cosa si poteva fare. I familiari dicono che è stata sottoposta a un’ecografia e tutto era a posto. Potevano essere due settimane quasi di routine, sotto osservazione. La situazione è precipitata? Questo non può succedere. Può capitare una disgrazia, all’improvviso, non quando si è affidati a una struttura ospedaliera, e in ogni caso bisognava allertare, premettere, ventilare un esito infausto. Non è accettabile che una donna sia piegata dai dolori, al quinto mese, e la si porti in barella al Pronto Soccorso, dove forse possono farsene carico. Dovevano farsene carico, ed è appena ovvio, giusto che si indaghi, dai più alti vertici, per capire. Qualcuno evidentemente ha sbagliato, perlomeno per omissione.
Poi c’è un secondo drammatico capitolo, da sviscerare e comprendere. Il papà, lo sposo, dice che alla morte del primo bambino, estratto dal suo ventre, quando i dolori continuavano, e la febbre saliva, era apparso chiaro che bisognava intervenire anche sul fratellino, per salvare la madre. E che un medico avrebbe dichiarato “il battito c’è ancora, io non posso, son obiettore di coscienza, siamo nelle mani di Dio”. Era l’unico medico, si afferma. Se le cose sono andate così, questo medico ha sbagliato, e gravemente. Non si trattava di un’interruzione di gravidanza, ma di una gravidanza interrotta per forza maggiore, e in caso di urgenza non c’è obiezione che tenga, si salva almeno una vita. E’ così naturale, nella sua terribile evidenza. Poiché non possiamo dubitare delle parole di un marito, di un padre, quel medico non ha onorato la sua professione, il suo giuramento e la sua umanità. Ci sarebbero dei testimoni, c’è chi ha sentito pronunciare quelle parole, mentre una mamma si spegneva, senza coscienza, mentre si gelava il suo cuore.
Il punto è che l’obiezione di coscienza con questa storia atroce non centra nulla. La legge, e il buon senso, la coscienza dicono che ci si può rifiutare di svolgere un’azione che contrasta con la propria convinzione ideale. Vale in alcuni ambiti, e quando si tratta dell’operare sulla vita umana vale sempre. C’è a chi non piace, ma è un principio di libertà, di tutela delle libertà. Io, da medico, teso a salvare la vita, non do la morte a richiesta, se si tratta di un bimbo abortito o di un malato terminale. Per Dio, per il mio pensiero sull’uomo, per me. Ed è un principio che non si dovrebbe mettere in discussione. E’ ben diverso se un medico si rifiuta di spegnere una vita morente quando quest’atto, pur penoso, potrebbe forse salvare un’altra vita.
E’ la scelta drammatica di chi ha dovuto dare la mano a un figlio e non a un altro, in mare, sotto le bombe o un terremoto. La stessa cosa. E chi accampa motivazioni ideali per non scegliere di fatto sceglie, e sceglie la morte. Ci sono i fanatici, che non dovrebbero semplicemente fare i medici. Che il dottore capitato lì per caso fosse un fondamentalista cattolico è negato da lui e dai suoi superiori. Bisogna accertare se dicono la verità, o se si coprono a vicenda, per celare responsabilità che sono a tutti gli effetti reati.
Se però questa vicenda pazzesca, che infanga il sistema sanitario e l’intero paese, viene brandita per attaccare la libertà di coscienza, allora è altra cosa. Già periodicamente si numerano con cifre inquietanti gli obiettori di coscienza: eppure gli aborti si contano ogni anno a centinaia di migliaia. Periodicamente si sollevano interrogazioni parlamentari e si fanno proposte di legge per allargare la 194, che casomai a parer di tanti medici andrebbe rivista per eccesso, dato che le analisi odierne ci mostrano che un bimbo vive, e come la ragione e il cuore ci suggeriscono, vive da subito. Sospettiamo che anche la vicenda di Catania sia strumentalizzata per la gogna, per il pubblico disprezzo di una scelta etica. Per questo bisogna indagare, capire chi ha sbagliato e come, in fretta. Per questo bisogna prendere provvedimenti e punire. Per evitare di piegare il dolore di una famiglia ad altri fini, e soprattutto perché una famiglia spezzata deve saper la verità. Che non consola, ma è sorella della giustizia, ed è un diritto.