“L’ipotesi di una trattativa Stato-mafia si basa sulle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, che è stato smentito in diverse occasioni, e su un documento dalla dubbia attendibilità in cui Cosa Nostra avanzerebbe delle richieste del tutto inverosimili”. Ad affermarlo è Marcello Sorgi, editorialista de La Stampa, ex direttore del TG1 e figlio di Nino Sorgi, l’avvocato penalista che difese Pci e sindacati nel processo per la strage di Portella della Ginestra.
Ritiene storicamente attendibile l’ipotesi di una trattativa Stato-mafia?
Nella storia passata della Sicilia si sono verificati diversi episodi oscuri che vanno dalla cattura e l’assassinio del bandito Salvatore Giuliano, all’avvelenamento del suo braccio destro Gaspare Pisciotta. Sono però storie lontanissime, quello di cui si sta parlando oggi è una trattativa a ridosso delle stragi e a me francamente non sembra molto verisimile.
Perché?
In primo luogo perché non ho evidenze di fatto, ci sono soltanto le dichiarazioni del figlio di Vito Ciancimino, Massimo. A queste si aggiunge il cosiddetto “papello”, cioè quello che si presume essere un appunto dei mafiosi in cui si esprime il loro punto di vista rispetto alla disponibilità dello Stato a trattare. Le richieste del papello sono però del tutto inverosimili e inaccettabili. In terzo luogo, ammetto di non avere ancora capito se si parla di una trattativa tra i carabinieri e Ciancimino per ottenere notizie utili alla cattura di Totò Riina, che poi avvenne nel gennaio del 1993, o di una trattativa successiva.
Perché le richieste del papello sono inverosimili?
Il papello è un pezzo di carta in cui la mafia proponeva di concedere la piena autonomia giudiziaria alla Sicilia, grazie alla quale si sarebbe fatta una Corte di Cassazione con sede a Palermo con l’obiettivo di assolvere tutti i mafiosi che erano stati condannati in precedenza. Le sembra verosimile un’ipotesi del genere?
Francamente no.
Nemmeno a me. Ben altro è il discorso relativo al fatto che a un certo numero di mafiosi fu tolto il regime di carcere duro e che questo, secondo l’ipotesi di una parte della Procura di Palermo, denoterebbe una trattativa tra lo Stato e la mafia. Contro questa ipotesi ci sono però diverse evidenze. Giovanni Conso, all’epoca ministro della Giustizia, ha dichiarato di avere deciso le scarcerazioni da solo e autonomamente, e Conso è una persona credibile. Il figlio di Ciancimino al contrario è stato smentito in varie occasioni.
Che cosa fa di Conso una persona credibile?
Giovanni Conso è un grande giurista e accademico dei Lincei. Ricordo inoltre che non è un politico, ma che entrò in un governo come tecnico. Fra Conso e il figlio di Ciancimino mi sembra molto più credibile il primo.
Lei ha detto che Ciancimino è stato smentito. Da chi e in quali occasioni?
Massimo Ciancimino ha dichiarato di avere dei documenti sulla trattativa che avrebbe custodito in un luogo segreto. Diverse volte ha aggiunto che sarebbe andato a prenderli, ma alla fine non lo ha mai fatto. I fatti riferiti da Ciancimino inoltre gli sarebbero stati rivelati dal padre che è morto da anni: non esistono quindi prove che l’ex sindaco di Palermo le abbia dette realmente.
Che cosa ne pensa delle intercettazioni che coinvolgono Napolitano?
Il presidente Giorgio Napolitano in questa storia non è coinvolto in alcun modo, se non per il fatto di avere richiesto al procuratore generale della Cassazione, cioè al superiore gerarchico della Procura di Palermo, di chiarire perché fra la Procura di Palermo e quella di Caltanisetta ci fossero due pareri completamente opposti, nonostante le inchieste riguardassero gli stessi fatti. Occorre quindi vedere quale delle due Procure abbia ragione e come si sia potuto generare un accavallamento di indagini. Il presidente inoltre è intervenuto con una lettera del segretario generale della Presidenza della Repubblica che peraltro è stata resa nota. All’epoca dei fatti, Napolitano era presidente della Camera. Semmai il problema riguarda Nicola Mancino, Claudio Martelli e Calogero Mannino.
Come valuta la posizione di Mancino?
Mancino nega di avere partecipato a una trattativa Stato-mafia. Siccome è accusato di falsa testimonianza, occorre dimostrare che abbia detto il falso e il compito spetta all’accusa. Martelli ha sostenuto in aula di avere avvertito Mancino che i carabinieri stavano trattando con la mafia, mentre Mancino sostiene di non avere mai ricevuto nessuna comunicazione di questo tipo. Bisogna vedere chi dei due sia in grado di dimostrare quanto afferma, e soprattutto quali sono i documenti in mano all’accusa. Si tratta insomma di una storia abbastanza torbida e nei cui confronti c’è ancora molto da chiarire.
Che cosa avrebbe concluso l’epoca delle stragi, se non proprio la trattativa?
A un certo punto dell’epoca delle stragi fu arrestato Totò Riina, che era il capo della mafia, e qualche anno dopo è stato il turno di Bernardo Provenzano. Il vero sostenitore della strategia stragista era però Riina. Una volta che quest’ultimo è stato catturato, condannato a tre ergastoli e messo in carcere dove si trova tuttora, le stragi sono continuate ancora per un po’, ma poi è stata messa loro la parola fine.
(Pietro Vernizzi)