L’Isis mette nel mirino Papa Francesco: una notizia sconvolgente, ma nemmeno troppo inattesa quella riportata da “Il Fatto Quotidiano”, che sulla sua edizione online dà nota delle minacce del mensile del Califfato, “Dabiq”, sulle cui pagine il Pontefice viene descritto come “il nemico numero uno” della comunità musulmana. Un attacco frontale quello di Dabiq, e di conseguenza dell’Isis, che arriva a minacciare il capo del cattolicesimo: un gesto che nemmeno Osama Bin Laden era arrivato a compiere. Nell’articolo che segue, Bergoglio viene definito come un “miscredente” e accusato di difendere i gay nonostante “l’omosessualità è immorale”; al vescovo di Roma, l’Isis contesta anche l’atteggiamento di ricerca del dialogo e di apertura nei confronti dei cosiddetti musulmani moderati, in particolare con Ahmed al Tayeb, imam dell’Università islamica Al Azhar del Cairo, in Egitto, dichiarato “apostata” dal Califfato. La speranza è che quelle di Dabiq restino solo parole, seppur gravissime, e che non ispirino l’azione di pericolosi jihadisti nei confronti del Papa.
Anche l’umanità passa in secondo piano in guerra: soprattutto se sul campo di battaglia c’è l’Isis. Capita allora che migliaia di corpi senza vita vengano lasciati senza una degna sepoltura, ammassati in fosse comuni senza dignità. È quanto sta accadendo in questi mesi in Siria e in Iraq a detta di un’inchiesta condotta da Associated Press, secondo cui sarebbero almeno 72 le sepolture di massa effettuate dagli uomini del Califfato, e sembra quasi scontato che ne verranno alla luce molte altre seguendo la scia della ritirata delle milizie terroristiche. Soltanto in Siria ne sono state individuate 17 e in una di queste sarebbero ammassati centinaia di cadaveri appartenenti ad una singola tribù; ma il conto dei morti contenuti in queste fosse, secondo l’Ap, è elevatissimo: le stime oscillano tra i 5.200 e gli oltre 15.000 cadaveri. L’orrore dell’Isis, dunque, investe tutto e tutti: non solo i vivi, ma pure i morti.
L’Isis è pronto a compiere un nuovo salto di qualità nei suoi attacchi. La prova arriva dalla Siria e dall’Iraq, dove il sedicente Stato Islamico ha prodotto in maniera autonoma delle armi chimiche utilizzandole tra il 2014 e il 2015. A darne notizia è La Stampa, la quale, nel citare indiscrezioni riguardanti l’atteso rapporto Onu previsto per oggi al Palazzo di Vetro, spiega che sono almeno 9 gli attacchi con armi chimiche che le ispezioni, coordinate dall’argentina Virginia Gamba, devono identificare. Le sostanze utilizzate per gli attacchi sarebbero cloro e iprite, con quest’ultima, anche denominata gas mostarda, che in particolare sarebbe stata utilizzata dagli uomini del Califfato nel villaggio siriano di Marea. Resta da capire come impedire alla rete jihadista di diffondere questo know how: nel salto di qualità degli attentati terroristici in Europa e negli Usa ampiamente annunciato dagli analisti dell’Isis, quello dell’utilizzo di armi chimiche assomiglierebbe ad una svolta difficile da contrastare.
In arrivo ancora aggiornamenti per quanto riguarda l’attacco a Bruxelles messo a punto dall’ISIS ieri, anche se si sta continuando ad indagare sul movente. Nel frattempo smentita, riferisce il Corriere della Sera, la notizia sull’autobomba, mezzo usato per l’attacco al Centro Ricerche dell’Istituto di Criminologia secondo le prime voci. Ad avviare l’esplosione sarebbero state infatti le fiamme appiccate con dolo, e che si sono poi propagate verso l’automezzo. Arrestati cinque sospettati dalle forze dell’ordine, rilasciati tuttavia nel giro di poche ore. Annunciata ieri l’avanzata dei ribelli siriano-turchi verso Manbij, nel Nord della Siria. Il Presidente Erdogan, scrive Al Jazeera, ha assicurato che è pronto a sconfiggere i curdi ed i militanti dell’ISIS che si trovano nel Paese. Le fonti militari avrebbero inoltre confermato che la zona è stata liberata dall’FSA di Ankara, con un’eliminazione dei ribelli in oltre 10 villaggi nell’area nord del Paese. Non si sa ancora se si parla di forze dello Stato Islamico e del Levante oppure se si tratta di membri curdi. Dopo la presa di controllo della città di confine di Jarublus, l’FSA si sarebbe spostata verso altri villaggi come Amarna, Yousef Beq e Ain Al Baida per fare un controllo nel giro di poche ore.