Jeroen Dijsselbloem! Se non ci fosse, dovremmo inventarlo, fulgido esempio della deriva di un’Europa che, perfino quando si impegna a darsi un tono, finisce nella marmellata del nulla. L’Austria dice no ai migranti, dopo aver siglato solennemente il patto di ferro con l’establishment europeo, ultimo esempio, esemplarmente chiaro, dell’end game di questo paradigma di convergenza di fattori che, insieme, non riescono a pensarsi come unità. La somma è sempre più dell’intero, ma qui la sommatoria è una combinazione algida e tecnicistica di numeri e calcoli, mentre il deserto avanza.
Tornando al Presidente dell’Eurogruppo: stavolta ha disertato il dibattito in plenaria all’Europarlamento, su una bagattella fra le tante, così, per gradire, la Grecia, il test politico continentale del secolo, conferendo ulteriore vigore alle malevole tesi sulla sua capacità di giudicare la realtà che, da più parti, erano piovute dopo l’infelice uscita sul Sud del Continente, che spende il prezioso euro in femmine e vino. Le ormai fantomatiche parole sono di meno di due settimane fa e oggi si replica, sempre sugli stessi schermi, mandando in frantumi l’ultimo residuo di credibilità, tant’è che Tajani, non certo un uomo che non ponderi le parole come i vecchi farmacisti con le pozioni miracolose, ha chiesto esplicitamente le dimissioni del mirabile Presidente dell’Eurogruppo, con un twitter, dunque con lo strumento ufficiale della pseudopolitica di oggi, in pieno stile formale, non c’è che dire.
Dopo Renzi, ora anche Tajani, Pittella e qualche altro “sudista” colti da inarrestabile disgusto per un personaggio che, a ben guardare, rappresenta oggettivamente assai di più con questi comportamenti che con i protocolli assemblati dall’eurocrazja. Già, perché l’establishment che da anni si muove a Bruxelles è un “mostro freddo”, Nietzsche docet, e, piaccia o meno, sta rinfocolando passioni bollate con sciatta faciloneria come “populiste”, in realtà semplicemente popolari. Che dire, allora? La neolingua continentale impone il decoro e la decenza, i fatti la superano di schianto: che fare, allora?
“Ci salveranno le vecchie zie”, suggeriva col suo genio non addomesticabile il grande Longanesi. Nel 2006, con quel libro che oggi appare a dir poco profetico, scritto insieme a Baget Bozzo, Tra nichilismo e Islam. L’Europa come colpa (Mondadori, per la cronaca), mettemmo a tema appunto l’Europa come colpa. E le conseguenze di questa deriva erano a noi già chiare: un’Europa così danza sull’abisso. Fu un grande filosofo marxista ungherese, Lukàcs, a scrivere della fine di una certa casta di intellettuali, quelli tedeschi a un passo dal balzo in avanti di Hitler, gente prona e intenta a ragionare come se occupasse le camere di un “hotel abisso”; oggi, finiti anche gli intellettuali, ci ritroviamo a ridosso dell’officina del nulla e, dunque, solo la cronaca può trovare spazio. Commento ora la cronaca perché, nella temperie dell’abisso, il presente è storia.
È sempre stupefacente vedere come l’establishment eurocratico sia distante dalla realtà, quello nazionale, a onor del vero, segue la stessa tendenza, e questa assimilazione alla dis-trazione produce l’attrazione di cerchi concentrici che forse sono il nuovo caos danzante, sempre per citare Nietzsche, e mi riferisco ai popolari populisti e populisti (sempre più) popolari, ma sono vettori reali, non c’è dubbio alcuno.
La Grecia è lo spartiacque e chi dovrebbe indicare la rotta se ne sta a casa: perché accettare il dissenso e la fatica, a parte il formalismo da consumarsi di fronte al preside se hai 13 anni – “starò più attento alle mie parole, perché non intendo offendere nessuno”: sic! -, costa il rapporto con la realtà e, si sa, contra factum non valet illatio. La Grecia sta crollando sulle pensioni. La prossima sarà l’Italia. Sullo stato della nostra previdenza, una volta ampollosamente definita “sociale”, portato del corporativismo social fascista e inscritta nella comunità repubblicana come il modello securitario hobbesiano trasferito di peso nel corpo nazionale, continua il silenzio e si va avanti con le innovazioni tecniche, la modulistica, ecc., ma il bubbone scoppierà, è solo questione di tempo. Dire pensioni significa infine tirare in ballo il paradigma del cosiddetto “welfare state”, non solo in Italia, ma nell’intera Europa.
Di fronte a tutto questo, nel malmestoso mare magnum del presente, fra sommersi e salvati, vi è anche chi preferisca disertare la parola, per non farla frangere su di sé. Dunque si insinua l’ego nella pesante palude del presente, come se la realtà fosse l’appendice del privatissimo ombelico: quando il “pubblico” non costituisce più materia per il “privato”, non c’è più politica, punto.
A questo punto, dopo l’uscita del nuovo taglio delle 50 euro, di che discutere ancora? Della Grecia? Tra l’indignazione di maniera dell’establishment e il vero fenomeno politico del XXI secolo, ossia il crollo del paradigma di welfare state, l’hotel abisso si prepara alla nuova stagione, con i soliti clienti.