“Dona a chi ami ali per volare, radici per tornare e motivi per rimanere”. Le parole del Dalai Lama fanno da filo rosso agli eventi che si concluderanno domani, 6 aprile, ottavo anniversario del terremoto dell’Aquila. Come ogni anno l’appuntamento più importante sarà la fiaccolata commemorativa che partirà alle 22.30 da via XX settembre per terminare in piazza Duomo con la lettura dei nomi delle 309 vittime, i rintocchi della campana, la messa e la veglia che proseguirà fino alle 3.32, l’ora del dramma abruzzese. Accanto ai familiari dei morti dell’Aquila saranno presenti i parenti delle vittime di altre tragedie italiane recenti, dal terremoto di San Giuliano di Puglia alla strage di Viareggio, fino ai comitati e alle associazioni che rappresentano i familiari delle vittime di altri lutti: l’Aiea, associazione italiana esposti amianto; l’associazione “Noi genitori di tutti”, fondata dalle madri della Terra dei Fuochi. Sarà presente anche l’associazione di Amatrice “Il sorriso di Filippo”, fondata per ricordare Filippo Sanna, studente dell’Università dell’Aquila morto nel terremoto del 24 agosto nella cittadina laziale. L’associazione assegnerà per l’occasione tre borse di studio, due alla facoltà di Ingegneria dell’Università dell’Aquila e una al Conservatorio Casella.
Prima di parlare di questi otto anni, della ricostruzione, di quello che è stato fatto e di quello che si poteva fare, il 6 aprile non può non rappresentare il ricordo di chi non c’è più, di quelle persone che sono morte. Un po’ per colpa delle scosse, un po’ per la superficialità con cui sono stati costruiti alcuni edifici. E la casa dello studente rimarrà sempre simbolo di questo dramma.
Otto anni sono tanti e in otto anni si potevano e si dovevano fare tante cose, per ridare un senso al capoluogo di regione abruzzese. Un percorso di ricostruzione lento, difficile, impegnativo, sicuramente costoso, ma che ha avuto sempre un costante flusso di denaro grazie a impegni che, dal governo Berlusconi in poi, hanno garantito all’Aquila quelle finanze necessarie per tornare a vivere. Di fatto accanto a tante gru, che ancora oggi all’Aquila simboleggiano lavori in corso, e quindi gli interventi di ricostruzione, ci sono situazioni ben più difficili che per inerzia o forse scarsa attenzione mettono in evidenza difficoltà. Si potrebbe parlare delle case Ater, l’edilizia pubblica residenziale, quegli appartamenti che ospitano i cittadini meno abbienti, quelli che fanno ricorso alle case popolari per avere un tetto sopra la testa. Queste case non sono ancora state ristrutturate. Quella parte di edifici che sono stati riscattati dai privati invece ha visto l’intervento degli operai, l’avvio della ricostruzione. E qui la domanda sorge spontanea: dove c’è il pubblico tutto rallenta, tutto diventa più difficile, la ricostruzione tarda a venire. Domande che non trovano risposte e che forse qualche politico dovrebbe cominciare a dare.
L’Aquila si prepara al voto amministrativo di giugno, iniziano i programmi dei candidati, ma i cittadini vogliono risposte concrete, al di là di chi tra qualche mese sarà chiamato a governare la città. Poco importa l’orientamento politico, poco importa la coalizione, se non perché l’unico argomento importante è quello di uscire da un’impasse che ha messo in evidenza scarsi interventi per riportare l’economia in centro storico. Funzionano solamente i locali di ritrovo per i giovani, per gli universitari, locali che nelle ore serali ridanno un’anima alla città. Non si è riusciti invece a creare un’economia derivante dal commercio, dalla riapertura dei negozi. Questi aspetti vanno ancora a rilento, si zoppica. Così come zoppica la ricostruzione delle scuole. Problemi che ancora una volta, anche in questo caso, riguardano il pubblico e non trovano soluzione concreta. 6mila bambini che vanno a lezione ancora nei container. Nessuna scuola ha lasciato uno dei 36 Musp (Moduli Uso Scolastico Provvisorio) allestiti nel 2009, anche se dal 2013 ci sono 44 milioni di euro disponibili. Si danno incarichi, si studiano progetti, si chiedono altri soldi. Unica certezza l’incapacità a fare qualcosa di concreto.