Gabriella Pandolfi mercoledì 24 agosto alle 3.36 era ad Amatrice e dormiva. Dopo quello che è successo non ha voluto parlare con nessuno ma ieri, dopo uno degli ottanta funerali romani avvenuti in parrocchie normali senza autorità e senza telecamere, si è sbloccata: “Le macerie del terremoto — ha detto — ti rimangono dentro”. E poi è andata avanti.
Ascoltare Gabriella mentre racconta significa capire cosa vuol dire “non ci sono parole”. Non è che mancano le parole, è che le parole che ci sono non possono dire il buio, il rumore, il vento. Sì, il vento: pare che prima della scossa di terremoto arrivi un colpo di vento. Lei dice così: “Un istante prima che accada tutto ti svegli e non sai perché. Forse il vento che precede i terremoti ha mosso le finestre. Accendi in automatico la luce ma la luce non c’è più e i gesti automatici non servono più a nulla.
Poi cerchi di uscire e prima di capire qualsiasi cosa trovi che il lavabo è al centro della stanza. Cammini e ti tagli perché di notte sei scalza perché sei a letto e non puoi correre. Ma devi correre”.
A volte raccontare quello che vediamo e facile; invece raccontare quello che viviamo per la prima volta, che non conosciamo perché non ci era mai accaduto, è difficilissimo.
Gabriella è distrutta ma lei è viva e sana. Le sue ferite sono interne. Ha perso amici, non parenti. Ha perso una piccola casa che aveva messo su per ospitare gli amici. Dice che la luce non c’era più e che era tutto buio. Sembra un’ovvietà ma se lo senti raccontare da lei ti accorgi che non è così. Dice che poi, all’alba, i pochi colori che si vedevano all’orizzonte sulla montagna erano totalmente diversi da quelli conosciuti. Le montagne erano cambiate.
Gabriella racconta della sua vita. Sospesa e cambiata con il 24 agosto. Parla dei suoi amici persi o feriti e parla del sindaco. Magari questa cosa ai giornalisti interessa perché dice che Sergio Pirozzi è un vero sindaco, non un esponente politico. Allora io le ricordo che stiamo registrando e lei rincara la dose. Picchia. Dice che è un vero servitore del suo paese, come dovrebbe essere ogni vero sindaco. Dice che ad Amatrice si faceva la raccolta differenziata come in tutti i paesi civili. E dice che siccome arriveranno i soldi per la ricostruzione lo vogliono fare fuori per mangiarseli. Su Facebook hanno fatto il gruppo “Il popolo della felpa” che lo sostiene e lo ha convinto a ritirare le dimissioni che aveva già inoltrato amareggiato. “Proprio ora ci vuole onestà, lealtà, voglia di lavorare”. E Gabriella garantisce che Pirozzi è il sindaco giusto per gli abitanti di Amatrice. Non ha paura di parlare chiaro perché dice che “ha una coscienza”.
E poi riparla del figlio che l’è venuta a prendere e che l’ha aiutata a prendere la borsa, il libro che doveva finire di leggere, e poi si è vestita un po’.
Ma quando è tornata a Roma, si è portata appresso il terremoto. “Le macerie ti rimangono dentro”. Gabriella non si è lavata per due giorni. Non sa perché. Forse perché vedi, senti, che le macerie dentro ci sono e sei sporca. Sei sporca dentro. Dentro più che fuori.
Però si è messa a lavorare per ricostruire. Dice che da parte di madre è friulana e che Amatrice si è gemellata con Gemona, la cittadina oggi interamente ricostruita.
Gabriella è fatta così. Se la ascolti anche solo in questa sua intervista, capisci che ha un cuore grande. Ma non come le frasi dei cioccolatini, come deve essere il cuore: grande. Se parla di lei, parla di chi ama. E quando parla degli sciacalli (“Sono uomini, non animali. Anzi, un uomo e una donna. Due rumeni. Ma stia calmo Salvini. C’erano anche gli sciacalli italiani) capisci che è meglio se girano alla larga da Gabriella. La notte ora ad Amatrice si muore di freddo. “Ma come, anche in agosto?”. Sì, ad Amatrice c’è un proverbio: “Amatrice: undici mesi di freddo e uno di fresco”.
Dopo aver staccato il telefono per due giorni due, ora ci regala questi suoi pensieri. Che sanno di polvere ma anche di forza. Mentre parla Gabriella passa un signore che la saluta e con fierezza si sente sullo sfondo: “Ero su e adesso stiamo qui a raccontarlo”. Raccontare è l’inizio del vivere e del ricostruire. Grazie di avercelo raccontato Gabriella.