Procede inarrestabile la marcia del riconoscimento dei “nuovi diritti” in sede giudiziaria, che in questi mesi ha visto la sua tappa più clamorosa nella sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la legge n. 40/2004, nella parte in cui vietava la fecondazione eterologa.
E’ poi stata la volta, da ultimo, del Consiglio di Stato, che ha confermato l’annullamento di un provvedimento della Regione Lombardia risalente alle ultime settimane di vita della povera Eluana Englaro.
A seguito del decreto della Corte di Appello di Milano del 9 luglio 2008, con il quale era stata “autorizzata” la morte di Eluana, Beppino Englaro aveva richiesto alla Regione Lombardia di mettere a disposizione una struttura sanitaria per il distacco del sondino nasogastrico attraverso il quale Eluana veniva alimentata e idratata.
Tale richiesta era stata respinta dalla Regione Lombardia sul presupposto che le strutture sanitarie sono deputate esclusivamente alla cura dei pazienti e che nelle stesse deve essere erogata l’assistenza di base, che si sostanzia nella nutrizione, nell’idratazione e nell’accudimento delle persone. La nota regionale aggiungeva che il personale sanitario che avesse proceduto alla sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale in una delle strutture del Servizio Sanitario sarebbe venuto meno ai propri obblighi professionali e di servizio, anche in considerazione del fatto che il decreto che autorizzava il distacco del sondino non conteneva alcun obbligo formale di adempiere a carico di soggetti o enti individuati.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, adito da Beppino Englaro, aveva tuttavia annullato tale nota regionale, con sentenza depositata in data 26 gennaio 2009 e, pochi giorni più tardi, Eluana era stata portata a morire in una clinica friulana. A quel punto la Regione Lombardia aveva comunque proposto appello contro la sentenza del Tar di annullamento della nota regionale sopra richiamata.
In questi giorni il Consiglio di Stato ha depositato la sentenza n. 4460/2014, con la quale è stata confermata la sentenza di annullamento della nota regionale con cui era stata respinta la richiesta di Beppino Englaro. Ciò sul presupposto che la Regione Lombardia sarebbe stata tenuta ad individuare una struttura sanitaria nella quale effettuare il distacco del sondino nasogastrico che alimentava Eluana.
L’argomento centrale sul quale si fonda la sentenza del Consiglio di Stato è il vero e proprio leitmotiv di numerose pronunce in tema di “nuovi diritti”, ossia l’affermazione di un “diritto assoluto” di autodeterminazione da parte dell’individuo.
Secondo quanto stabilito dalla sentenza, il diritto oggetto di tale autodeterminazione (in questo caso il “diritto alla morte”) deve essere assicurato anche in assenza di una disposizione normativa che lo preveda e ad esso la pubblica amministrazione è tenuta a soggiacere anche quando, come nella fattispecie in questione, si pretenda l’erogazione di prestazioni volte ad uno scopo diametralmente opposto alle finalità di cura proprie delle strutture sanitarie e che non sono contemplate nella disciplina che regola il Servizio sanitario nazionale né nei Lea (Livelli essenziali di assistenza sanitaria).
Tanto che la sospensione del trattamento di alimentazione e di nutrizione artificiali costituirebbe un vero e proprio “dovere” in capo ai sanitari e questo escluderebbe in radice qualsiasi possibile responsabilità penale a carico degli stessi. Il tutto senza che sia nemmeno data la possibilità di ricorrere all’obiezione di coscienza, atteso che, come affermato dalla sentenza del Tar Lombardia, il diritto di obiezione di coscienza non è riconosciuto dalla legge per questo caso. Il che è del tutto pacifico: dato che non esiste una disposizione normativa che preveda la possibilità di richiedere al Servizio sanitario nazionale di praticare un trattamento, attivo o passivo, che determini la morte del paziente, non può essere nemmeno disciplinata l’eventualità in cui il personale sanitario si rifiuti di accedere a questo tipo di richiesta per motivi di coscienza. Resta da comprendere tuttavia perché il medico, a differenza del paziente, non dovrebbe potersi “autodeterminare” e così rifiutare una prestazione che cagioni la morte del paziente stesso, sulla base di principi deontologici, morali o religiosi.
La pronuncia del Consiglio di Stato contiene poi un evidente paradosso.
Essa è costellata di affermazioni tendenti a valorizzare massimamente la centralità del diritto di autodeterminazione: “…scelta insindacabile del malato di assecondare il decorso naturale della malattia fino alla morte…”, “fondamentale e incomprimibile diritto di autodeterminazione terapeutica, quale massima espressione della personalità…”, “…informata e volontaria scelta di rifiutare le cure da parte del paziente…”, “…accettazione della morte da parte del consapevole paziente…”.
Ebbene, Eluana Englaro non si è affatto “autodeterminata” a richiedere l’interruzione del trattamento di alimentazione e di idratazione; altri l’hanno chiesto “in nome e per conto” suo e per di più non già sulla base di formali dichiarazioni dell’interessata, bensì esclusivamente di commenti da lei espressi oltre diciassette anni prima in occasione di gravi incidenti occorsi a terze persone.
Eluana è stata mandata a morire sulla base di una mera ricostruzione della sua ipotetica volontà (ma di questa circostanza nella sentenza del Consiglio di Stato non c’è traccia). Non lo si dovrebbe dimenticare, soprattutto quando si celebrano “le magnifiche sorti e progressive” dei “nuovi diritti”. Il riconoscimento di questi ultimi ha dei “costi” (non solo economici) per la società; su questi temi è indispensabile poter aprire un dibattito senza pregiudiziali ideologiche.