Si sbagliava Renato Zero: il carrozzone non va avanti da sé, il carrozzone lo trasciniamo noi, faticando, sudando, battendo pure le mani. Il carrozzone è quello del Festival di Sanremo: sarebbe un pre-giudizio critico scorretto parlarne male senza aver ascoltato le canzoni e visto lo spettacolo. Sarà però che siamo abituati male, perché da anni, da decenni ormai il carrozzone di Sanremo è tutto meno che festival della musica italiana. Sono cose già dette e ridette, si è pure inventato in polemica un premio parallelo, d’élite, per i puri che non vogliono contaminarsi.
In realtà, sono passati da Sanremo cantanti che hanno poi dato buona prova di sé, e solo pochi ci tornano a dir grazie, una volta ottenuto il successo, mentre i più lo snobbano, elevati ormai all’empireo del cantautorato di qualità. Abbiamo visto perfino pezzi di spettacolo belli o divertenti. Però, a un mese dalla campagna elettorale, così affrettata, benché aspettata tanto, così deludente, proprio perché aspettata; con quel che sta capitando in questi giorni e dilania in modo polemico le coscienze del Paese, è così primaria la nostra attenzione al Festival? Abbiamo proprio voglia di ottenebrarci, di far finta di piangere qualche lacrima per Pamela o ascoltare proclami contro il fascismo di ritorno, il razzismo dilagante?
È vero, saranno milioni gli italiani all’ascolto, ma temo che si tratterà di milioni di italiani con le orecchie tappate, e gli occhi semichiusi, o fissi sul conduttore di turno e quest’anno sarà una triade. Non serve il Festival di Sanremo a farci ragionare di più, non serve davvero neanche a distrarci, a divertirci, nel senso letterale del termine, cioè voltarci da un’altra arte, fingendo che il mondo reale possa star fuori. Non può e non deve star fuori. Lo svago, il sorriso, la curiosità sono sempre a 360 gradi. La realtà è una, e tocca farci i conti, no. Permettere a nessuno di pensare per noi. Così, vorrei che il festival fosse unpolitically correct. Elegante, ma non moralista. Non vorrei vedere passerelle di attrici con i cartelli Me too; non vorrei veder usare storie strappacuore per indirizzare labili sentimentalismi, non vorrei predicozzi sulla concordia universale; non vorrei commozione e improvvisazione da parte di conduttori e manager che sono lì per guadagno e per immagine, e cui è chiesta solo professionalità, ai massimi livelli.
Vorrei sentire quasi soltanto musica, buona musica, tanta musica, soprattutto largo ai giovani. Perché è pur vero che il pubblico televisivo è composto da ultrasessantenni, ma toccherà pur uscire dal refrain. Fin che la barca va e grazie dei fiori. Vorrei che dal festival uscissero voci nuove, capaci di durare nel tempo; basta riandare sempre ai successi del passato, e omaggiare ogni anno Giorgia e Bocelli e Massimo Ranieri. Sarà possibile canticchiare una canzone senza troppe pretese di ingabbiare il mondo, senza ermetismi snob, senza volgarità spacciate per rivoluzioni, senza ammiccare soprattutto all’ideologia dominante, senza messaggi urbi et orbi. Una canzone da ricordare, come ricordiamo sempre e ancora quelle di Mina, Battisti, Modugno, Celentano…Tanti, troppo anni fa, appunto.