Che cosa prova, che cosa sente, che cosa vive un detenuto che entra in un carcere per passarci decenni, anche tutta la vita? Lo possiamo solo immaginare, sentircelo raccontare da loro, ma sarà sempre una esperienza intuitiva, mai vissuta. A Taranto un gruppo di persone, da un’idea avuta per primo dal comandante del reparto di polizia penitenziaria Giovanni Lamarca a cui si sono associati poi il critico d’arte Achille Bonito Oliva e ancora la sociologa Anna Paola Lacatena, l’artista De Mitri, il critico Roberto Lacarbonara, e l’attore Giovanni Guarino, è nata la mostra itinerante “L’altra città”.
Un percorso che è lo stesso che fa il detenuto quando entra nella “casa del dolore”: dalle impronte digitali, alla cella dei nuovi giunti dove c’è il materasso ripiegato e gli oggetti di prima accoglienza come la gavetto lo spazzolino e il dentifricio. Poi si entra nella terza cella, quella della detenzione definitiva decorata con il quadro di Goya Il tribunale dell’inquisizione. Ci si passano alcuni minuti e infine il posto peggiore, la cella di isolamento dove si viene rinchiusi per aver fatto qualcosa contro il regolamento, dipinta di nero. Qui le detenute hanno appeso al soffitto farfalle e rose di cartoncino. Nei passaggi precedenti dai soffitti pendevano tutte le carte di indennità delle detenute, da scostare a mano per passare, un impatto fisico con il mondo dell’altra città, di quelli che sono stati emarginati per le loro colpe dalla città dei normali. Questa sorta di viaggio all’inferno si potrà visitare fino al prossimo 15 giugno e chi ci va, crediamo, ne uscirà diverso.
A questa mostra hanno collaborato, pare con entusiasmo, due note detenute del carcere di Taranto, Sabrina e Cosima Misseri, condannate all’ergastolo per aver ucciso la nipote e cugina Sara Scazzi, una storia che ha tormentato e diviso l’Italia per anni. Secondo i responsabili del progetto le due donne hanno partecipato con entusiasmo: «Sabrina era attentissima, e dopo poche settimane era in grado di riconoscere le differenze stilistiche tra un quadro di Picasso e uno di Max Ernst», dice Giulio De Mitri, l’artista e docente tarantino, insegnante all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, autore di un laboratorio artistico all’interno della Casa circondariale «Carmelo Magli» di Taranto.