Se tua figlia si sposa con un uomo che non ti piace, la cosa migliore da fare è pagare un killer che sfregi il genero. E, se la prima volta non ci riesci e le tue vittime scappano, quello che devi fare è solo scoprire dove si sono rifugiati e riprovarci. No, non sto raccontando una storia da Isis e affini, ma la terribile tragedia di una ragazza italiana con papà calabrese e mamma siciliana che, però, erano assolutamente contrari al libero matrimonio della figlia con un uomo più grande. Lei, ventenne, non poteva sposare un uomo di 48 anni. Avevano cominciato col danneggiargli l’auto con la scritta “pedofilo” per passare a insulti e minacce più gravi. Poi, il 23 febbraio scorso, c’era stato il primo assalto con l’acido che però era fallito e aveva solo ottenuto l’effetto di terrorizzare i due facendoli trasferire da alcuni parenti a Torino. Ma non è bastato. Il 19 aprile l’aggressione con l’acido si è ripetuta con danni gravissimi e permanenti. E no: l’islam non c’entra nulla, come invece è circolato per colpa delle solite fake news. C’entra solo l’abisso del nostro cuore umano, quello dove l’amore e il potere possono drammaticamente confondersi fino a significare morte e sangue invece che gioia e vita.
Cosa significa vedersi sfigurare l’uomo che si ama da chi dovrebbe amarti e accoglierti sempre prima ancora di conoscere le tue scelte? Come sopravvivere dopo che delle prove schiaccianti dicono che tuo padre e tua madre hanno pagato qualcuno perché deturpasse la persona che ami? Sette minuti dopo l’aggressione il papà aveva scritto alla figlia: “prepara l’abito nero”. Come si vive così giorno dopo giorno, scappando di casa in casa? Cosa può provare una figlia che vede il proprio padre e la propria madre odiare chi ami in modo tanto truculento? Come si vive sperimentando nella propria esistenza una violenza che non conosce ragioni né legami di sangue e di cuore? Una violenza che annulla la vita non solo di chi muore o viene sfregiato ma anche quella di chi sopravvive: della figlia, in questo caso.
Faccio delle domande perché non ho risposte, se non quelle di un perdono tanto arduo quanto lontano nel tempo. Chi conosce situazioni di rifiuto simili sa che, chi le attraversa, anche quando dovesse trovare l’amore vero, ne avrà un tale terrore da scappare a gambe levate per la paura. È il terrore di chi ha sperimentato che le braccia di chi dovrebbe amare nascondono invece l’acido che sfigura. Come farà questa ventenne a non convincersi che l’unico comportamento da tenere di fronte a dei genitori è chiudersi, scappare, sottrarsi a coloro che avrebbero dovuto dare luce e invece hanno solo seminato odio?
Un’ultima domanda riguarda la sicurezza del nostro paese. È incredibile infatti ma, come ho scritto, la tragedia avvenuta il 19 aprile aveva avuto un primo tentativo, fallito, il 23 febbraio. Perché la polizia e i carabinieri non sono intervenuti? Perché quei genitori hanno potuto assoldare altri killer e riprovare il loro folle tentativo? Perché sono rimasti a piede libero? Sono domande che, una volta tanto, non interpellano il foro interno delle coscienza ma quello esterno della società, della giustizia, della nostra sicurezza quotidiana, del diritto che ha ciascuno di noi di vivere una vita felice e di assicurarla a chi si ama.