La testimonianza che segue è del 17 dicembre scorso, quando un gruppo di ragazzi e ragazze della comunità terapeutica educativa “L’Imprevisto” di Pesaro hanno terminato il loro cammino in comunità. Leggi qui l’intervento di Silvio Cattarina, fondatore de L’Imprevisto e responsabile del programma.
Fin da piccolo mi sono sempre chiesto cosa fosse la felicità. Colpito dalla separazione dei miei genitori e da un gran dolore, ho iniziato a cercarla fuori dalla famiglia. Ma ero preso da un ingranaggio che girava molto veloce e non riuscivo a rendermi conto di ciò che era veramente importante. Inseguivo la felicità senza mai poterla vivere. Non riuscivo a trovare una risposta e mi sentivo solo. Mi rendevo conto che volevo “esplodere” e così iniziai a fare uso di sostanze, fino a quando non incontrai l’eroina, che subito diventò un’ombra che iniziò a seguirmi dappertutto… quando chiudevo gli occhi capivo che mi ero perduto, non ero più io, non ero più nessuno.
Quando li ho riaperti ero in un letto di ospedale e avevo tutta la mia famiglia davanti. Il dolore nei loro occhi era di riflesso anche il mio, in quel soffio di lucidità decisi che dovevo dare una svolta alla mia vita.
Così il 10 giugno del 2014 entro in comunità. In una realtà completamente diversa dalla strada, quella che mi aveva accompagnato per anni. Mi sentivo perso, come un bambino abbandonato al centro di un mercato. Avevo perso la voglia di vivere e nei primi mesi di comunità nel mio cuore c’era un gran buio. Ero falso e mi isolavo da tutti, mi contorcevo dal dolore e dalla sofferenza pensando che per me non ci sarebbe stato niente se non rimanere nel mio torpore e nella mia angoscia.
Finito il metadone e preso coscienza di dove ero, il mio sguardo si è spostato sulle persone che stavano cercando di aiutarmi e da subito mi sono reso conto che non mi guardavano per il passato e per la povertà che la mia persona esprimeva, ma mi guardavano come un ragazzo che nella vita poteva dare tanto…
Credevano in me più di quanto io ero in grado di fare. Iniziavo a non sentirmi più solo e questo mi ha riacceso il fuoco che avevo dentro e così ho iniziato a fare, a parlare e finalmente a farmi aiutare.
Di pari passo con la mia crescita, ricostruivo il rapporto con i miei genitori, con mio fratello. Mi sono sentito perdonato e amato e grazie a questo sono riuscito a perdonare anche me stesso. Da qui si è aperto un mondo e la questione principale diventava il rapporto vero che stava nascendo e che era in grado di indicarmi la direzione. Mi sono lasciato andare di fronte a questa immensità. Ho riscoperto una gran fede, nella vita e in Dio, ho sperimentato l’aiuto del Signore attraverso i volti della comunità, la sua misericordia, la sua severità e il suo amore.
Ho conosciuto dei compagni di percorso che sono divenuti miei fratelli, ad essere loro amico e condividere ogni giorno ogni istante. Tutto questo – come direbbe Cicco – è come fare canestro all’ultimo secondo nella finale… sempre più rimanevo senza fiato dalla gioia, dalla commozione.
Ma ancora non era finita. Intorno ai 20 mesi di comunità ho vissuto una crisi interiore a motivo della mia presunzione, perché pensavo che ormai ero arrivato, ero pronto… il problema è che pensai tutto da solo e non chiesi aiuto e così sono scappato… in lacrime mi resi conto che ancora una volta ero fuggito di fronte alla vita, di fronte ad una chiamata.
La forza di mia madre, di mio fratello e di mio padre mi salvarono di nuovo la vita. Mi dissero che se non rientravo subito quella stessa sera, sarei tornato di nuovo per strada perché a casa non mi riprendevano. Così tornai e da lì cambiò tutto.
Con fatica, lacrime e sudore sono riuscito poi a conquistarmi la serenità, la mia libertà e dopo 31 mesi ho scelto di continuare il percorso in casa di reinserimento. Ma la cosa ancor più bella è che iniziai ad amarmi veramente, a stimarmi davvero. Così mi sono reso conto che il dolore che provavo non andava più nascosto, perché semplicemente mi avvertiva di non vivere contro la mia verità. Da lì non ho più temuto i contrasti, i confronti e i problemi con me stesso e gli altri. Perfino le stelle a volte si scontrano dando origine a nuovi mondi e io oggi so che tutto questo è la vita e voglio gridarlo a tutto il mondo!
Ringrazio il Sert e tutti gli operatori, soprattutto voi, Dicio e Valerio, che nei momenti più difficili del percorso mi avete dato la forza di andare avanti.
Ringrazio la mia famiglia perché, spesso nonostante me, non mi avete abbandonato, mi siete stati vicino e mi avete amato da sempre. Ringrazio Paola, Domenico, Roberto, Andrea e Stefano che oggi siete qui e soprattutto ringrazio te Matteo, fratellone mio: sei divento un pezzo importantissimo del mio cuore… lo sai… mi avete salvato la vita e vi amo con tutto il cuore.
Mi chiamo Andrea, ho 20 anni, sono di S. Benedetto del Tronto e questa è la mia storia. Una storia davvero bella! Che desidero sia sempre più grande.