Elezioni politiche generali lampo in Irlanda: nel giro di un mese il capo del Governo ha rimesso il mandato, il presidente della Repubblica ha sciolto il Parlamento e ieri si è andati al voto. Un voto che non ha dato un vincitore netto, ma qualche clamoroso sconfitto sì. La maggioranza che governava il Paese non c’è più. Perdite durissime per il partito di maggioranza relativa, il Fine Gael di Enda Kenny, che passa dal 36 al 26%, e per i Laburisti che crollano dal 19 al 7%. Una punizione severissima da parte dell’elettorato. Che è successo nell’Isola di Smeraldo che tra poco più di un mese festeggerà il centenario dell’Insurrezione di Pasqua del 1916, quando una Nazione si levò in armi per rivendicare davanti a Dio e davanti agli uomini il proprio diritto alla libertà e all’indipendenza?
Solo qualche mese fa un raggiante Enda Kenny, il giovane e dinamico leader del Fine Gael, festeggiava la vittoria del referendum confermativo con cui l’Irlanda aveva detto sì ai matrimoni omosessuali. Per Kenny, come per Obama e Renzi, era stata la vittoria dell’amore, dell’uguaglianza di diritti, ottenuta peraltro al termine di una campagna ideologica di una durezza e di un’intolleranza inusitate per l’Irlanda, dove si impedì fisicamente di parlare agli oppositori del provvedimento di legge, come il giornalista John Waters, una campagna sostenuta principalmente con fondi provenienti dagli Stati Uniti, in particolare dal miliardario Chuck Feeney.
Enda evidentemente non ha incassato nulla dalla vittoria referendaria: il popolo irlandese non si è lasciato abbagliare dagli specchietti delle “conquiste civili” e non si è fatto distrarre da queste “armi”, ma ha votato ieri guardando al concreto, e bocciando la politica economica di tagli, lacrime e sangue della coalizione governativa di centro-sinistra. Se dal voto il principale partito di opposizione, il Fianna Fail, di centro-destra, esce immutato nei consensi e nei numeri parlamentari (circa il 22%) chi ha fatto il botto è stato lo Sinn Féin di Gerry Adams, che raddoppia i suoi consensi, e una nuova formazione, l’Independent Alliance, nata solo pochi mesi fa.
Il Sinn Féin è una formazione di sinistra anti-imperialista, che per decenni è stato il principale partito di rappresentanza dei cattolici repubblicani dell’Ulster. Considerato dagli inglesi “il braccio politico dell’Irish Republican Army”, la formazione che porta il nome di un movimento fondato oltre un secolo fa per giungere all’indipendenza è al governo dell’Irlanda del Nord in una paradossale, fragile ma efficiente coalizione con il Democratic Ulster Party, il partito dell’ala più dura del lealismo protestante nordirlandese. Il governo degli opposti estremismi, si potrebbe dire. Nella Repubblica invece il Sinn Féin non aveva mai mietuto grandi consensi, in uno scenario storicamente dominato dai due partiti eredi della spaccatura del vecchio Sinn Féin avvenuta nel 1921 quando furono firmati gli accordi che misero fine alla Guerra di Indipendenza con l’Inghilterra.
Lo Sinn Féin di allora si spaccò tra coloro che erano favorevoli e quelli che erano contrari al trattato che prevedeva la spartizione dell’isola. Dai favorevoli discese il Fine Gael, dai contrari il Fianna Fail. Proprio nell’imminenza delle celebrazioni dell’epopea dell’insurrezione, l’Irlanda ha mandato un interessante messaggio, attraverso le urne: non ci interessa la “modernizzazione” propugnata dal Fine Gael con i suoi matrimoni omosessuali e la secolarizzazione spinta: ci interessa il lavoro, il welfare, la giustizia sociale. Il Sinn Féin di Adams si rifà ad uno dei padri fondatori del socialismo e dell’indipendentismo irlandese, quel James Connolly che venne fucilato dagli inglesi dopo la sconfitta dell’Insurrezione di Pasqua, portato davanti al plotone di esecuzione legato ad una sedia, dal momento che era rimasto ferito durante gli scontri di Dublino e non riusciva a reggersi in piedi. Un ideale di socialismo umanitario che evidentemente convince gli irlandesi più delle ricette liberiste del Fine Gael.
Infine c’è da riflettere anche sull’ottimo risultato dell’Independent Alliance, che potremmo definire “l’anti-politica all’irlandese”. In realtà, a differenza di molte formazioni che fanno dell’attacco alla politica il mezzo per conquistare consensi, l’Alliance è in realtà fatta di gente profondamente affezionata all’impegno politico: è costituito da consiglieri comunali e di contea, piccoli amministratori di paese, che si oppongono all’attuale sistema partitico dominante. Rivendicano il diritto di governare con criteri non ideologici, valutando legge per legge la bontà di queste. E soprattutto rivendicano il diritto di decidere, da parte degli eletti in Parlamento, secondo la propria coscienza. Un principio affossato recentemente in Italia da Renzi. Non è un caso che siano diversi gli esponenti dell’Alliance che provengono dai maggiori partiti irlandesi, dai quali sono stati espulsi per avere votato in qualche occasione con la propria testa senza adeguarsi alla rigida disciplina di partito. Un esperimento molto interessante — quello dell’Alliance — in una terra che per tanto tempo è stata la patria degli spiriti indomiti e liberi.