La settimana si è conclusa con i dati sulleconomia dell’Eurozona, ma risuonano ancora le parole del Premier italiano: “Porteremo l’Italia fuori dalla crisi: l’Italia ha un grande futuro, le finanze italiane sono sotto controllo e continueremo a ridurre le tasse. Faremo cose rivoluzionarie”. Renzi ha cercato così di spiegare che il nostro Paese farà le sue riforme per attrarre gli investimenti esteri e agganciare la ripresa. Eppure la precedenza è stata data a quelle istituzionali. Ne abbiamo parlato con Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Per Renzi il primo sì alla riforma del Senato è stata “una grande vittoria”. Quali possono essere i riflessi economici di questo voto?
Questa riforma non avrà effetti economici diretti ma soltanto indiretti. Il processo di formazione delle decisioni economiche pubbliche viene a essere reso più spedito. Ciò avviene non soltanto come tempi, ma lascia anche meno spazio a correzioni che in questi anni sono state molte volte fuori tema, infilando in un determinato provvedimento materie che c’entravano ben poco. Quando ci sono due camere che hanno esattamente lo stesso potere, è più facile che tutte e due infilino dei provvedimenti specifici in un provvedimento più generale. Quindi indirettamente la fine del bicameralismo perfetto comporta degli effetti benefici anche per l’economia. Direttamente invece non cambia nulla, la procedura è sempre la stessa ed è resa soltanto più rapida.
Nel secondo trimestre il Pil dell’Italia è diminuito, ma il governo Renzi non ha attuato nessuna riforma economica. Che cosa ne pensa di questa scelta?
In primo luogo, non è il presidente del consiglio in quanto tale a dover attuare le riforme economiche. La riforma è un provvedimento che deve passare attraverso il Parlamento, e inoltre non è una formula magica che si inventa in una notte. Ciascuna riforma economica è piuttosto un ingrediente per modificare i comportamenti degli attori dell’economia.
Nel momento in cui il Pil peggiora, per rispettare il parametro del 3% nel rapporto deficit/Pil sarà necessario dare fondo alla spending review?
Difficile dirlo, in primo luogo perché non sappiamo di quanto peggiorerà il Pil. Il discorso va visto in un quadro annuale e chiaramente a essere decisivi saranno gli ultimi due trimestri. Al momento la situazione è molto incerta, anche se alla luce di cifre dettagliate probabilmente una spending review efficace sarebbe sufficiente.
Lei che cosa ne pensa delle priorità scelte dal nostro governo, per cui prima si adottano le riforme istituzionali e poi quelle economiche?
A questo livello intervengono anche considerazioni di carattere tecnico. Da un lato bisogna partire con le riforme, dall’altro è in un certo senso più facile attuare una riforma del Senato, che riguarda il modo di funzionare di un’istituzione molto solenne e importante, piuttosto che attuare una riforma economica che tocca questioni molto più complesse e una realtà in trasformazione e deve tenere conto di molti più aspetti.
Renzi deve aumentare le tasse per ridurre il debito o diminuirle per fare ripartire la crescita?
Non esistono delle risposte precostituite a questa domanda. Occorre andare a tentoni, e in questo senso l’Italia vive in un mondo nel quale la frenata è molto forte e non riguarda quindi solo i numeri, quanto piuttosto una dimensione collettiva nel contesto dell’Unione europea.
(Pietro Vernizzi)