La concorrenza assume, com’è noto, valore fondante della costituzione economica europea. Essa infatti in un primo momento ha costituito uno degli strumenti necessari per l’integrazione dei mercati nazionali e, dunque, per la realizzazione del mercato unico, per divenire successivamente il principio generale, cui devono conformarsi le politiche economiche degli stati membri e della Comunità.
La crisi economica che ha attraversato l’Europa negli ultimi anni conferma che di concorrenza c’è oltremodo bisogno. Il ridimensionamento della crescita, anche dietro la pressione competitiva delle economie emergenti, ha evidenziato i vincoli e le barriere strutturali, normative e tecniche che ancora sussistono tra i mercati nazionali.
In questo contesto, il settore dei servizi in generale, e al suo interno il comparto dei servizi pubblici, riveste un’importanza cruciale. Esso contribuisce per oltre il 65% e il 68% rispettivamente al Pil e all’occupazione dell’area euro.
Nell’ambito dei servizi in generale due settori, tra gli altri, risultano particolarmente indicativi del rapporto tra sistema economico italiano e processo di integrazione europea: quello energetico e quello bancario.
Per quanto riguarda i settori energetici, i mercati nazionali sono ancora ben lungi da un’integrazione reale e da un accettabile livello di interconnessione, che ci permetta di parlare di mercati energetici europei e, soprattutto, di acquistare i servizi energetici dalle imprese effettivamente più competitive ed efficienti. In questo come negli altri settori le questioni, sia di politica industriale vera e propria, sia di liberalizzazione, dovrebbero essere sollecitate e coordinate da una “regia comunitaria”.
In questa prospettiva, un Paese come l’Italia, dove si è rimasti “a metà del guado”, si trova in una situazione pericolosa nella quale non si riescono a ottenere i benefici del sistema concorrenziale, ancora troppo debole, mentre si profila all’orizzonte l’evenienza dell’instaurazione di oligopoli collusivi, tra gli ex monopolisti nazionali ancora forti e i nuovi entrati. Di qui, la necessità improrogabile di accelerare e completare il processo di liberalizzazione nel nostro Paese.
Per quanto concerne poi il sistema finanziario e creditizio, la concorrenza bancaria incide innanzitutto sulla competitività delle imprese e sulle attese dei consumatori per il costo dell’intermediazione bancaria e per la qualità dei servizi offerti. Da più parti si segnalano rigidità e ritardi del settore, che si traducono spesso in comportamenti omogenei degli operatori anche quando una loro diversificazione sarebbe possibile e anzi costituirebbe una leva concorrenziale.
Dinanzi al processo di integrazione europea e alla sua evoluzione, in termini di dimensione (allargamento) e di rafforzamento, il nostro Paese non può dunque che sostenere e sviluppare la concorrenza, intesa come valore, bene giuridico, processo dinamico di crescita dell’economia e dell’occupazione, motore di sviluppo della produttività, e in definitiva del benessere per l’intera collettività. Se l’obiettivo generale è quello di rafforzare la competitività economica del nostro Paese, occorre compiere passi decisi sia verso una seria riforma della regolazione che verso una rigorosa applicazione della legislazione antitrust (enforcement).
La riforma della regolazione è necessaria per rimuovere a tutti i livelli di governo i vincoli normativi e amministrativi che ancora circondano, spesso in un recinto protezionista, interi settori dell’economia, dal credito alle assicurazioni, alle libere professioni, dal trasporto alla grande distribuzione, frenando lo sviluppo e la competitività del Paese. La riforma ovviamente non deve essere intesa come una liberalizzazione sfrenata, ma come un’attenta modulazione della disciplina delle attività, che valuti accuratamente gli impatti sul mercato che da essa possono derivare e la sua effettiva rispondenza a esigenze di interesse generale. In questo, l’Autorità ha svolto e continuerà a svolgere nei confronti delle istituzioni un ruolo di impulso e di promozione della concorrenza, soprattutto attraverso l’attività di segnalazione. I recenti provvedimenti sulle liberalizzazioni, che fanno seguito a quelli varati nello scorso anno, vanno in questa direzione. Si tratta di primi passi molto importanti, ai quali dovranno seguirne altri, soprattutto nei settori delle reti energetiche, laddove una maggiore concorrenza dovrebbe consentire di ridurre gli elevati costi di approvvigionamento che gravano pesantemente sulla competitività del sistema Paese.
Avere chiaro l’insieme di questi problemi – strutturali, normativi, amministrativi – può aiutare a individuare soluzioni concrete per rilanciare la nostra economia. In un quadro di obiettivi condivisi, la concorrenza non può che avere un ruolo di leva fondamentale dello sviluppo, che accomuni e avvicini pubblico e privato, orientando e guidando, oggi più di ieri, l’azione dei diversi soggetti e le politiche pubbliche.
La crisi economica che ha attraversato l’Europa negli ultimi anni conferma che di concorrenza c’è oltremodo bisogno. Il ridimensionamento della crescita, anche dietro la pressione competitiva delle economie emergenti, ha evidenziato i vincoli e le barriere strutturali, normative e tecniche che ancora sussistono tra i mercati nazionali.
In questo contesto, il settore dei servizi in generale, e al suo interno il comparto dei servizi pubblici, riveste un’importanza cruciale. Esso contribuisce per oltre il 65% e il 68% rispettivamente al Pil e all’occupazione dell’area euro.
Nell’ambito dei servizi in generale due settori, tra gli altri, risultano particolarmente indicativi del rapporto tra sistema economico italiano e processo di integrazione europea: quello energetico e quello bancario.
Per quanto riguarda i settori energetici, i mercati nazionali sono ancora ben lungi da un’integrazione reale e da un accettabile livello di interconnessione, che ci permetta di parlare di mercati energetici europei e, soprattutto, di acquistare i servizi energetici dalle imprese effettivamente più competitive ed efficienti. In questo come negli altri settori le questioni, sia di politica industriale vera e propria, sia di liberalizzazione, dovrebbero essere sollecitate e coordinate da una “regia comunitaria”.
In questa prospettiva, un Paese come l’Italia, dove si è rimasti “a metà del guado”, si trova in una situazione pericolosa nella quale non si riescono a ottenere i benefici del sistema concorrenziale, ancora troppo debole, mentre si profila all’orizzonte l’evenienza dell’instaurazione di oligopoli collusivi, tra gli ex monopolisti nazionali ancora forti e i nuovi entrati. Di qui, la necessità improrogabile di accelerare e completare il processo di liberalizzazione nel nostro Paese.
Per quanto concerne poi il sistema finanziario e creditizio, la concorrenza bancaria incide innanzitutto sulla competitività delle imprese e sulle attese dei consumatori per il costo dell’intermediazione bancaria e per la qualità dei servizi offerti. Da più parti si segnalano rigidità e ritardi del settore, che si traducono spesso in comportamenti omogenei degli operatori anche quando una loro diversificazione sarebbe possibile e anzi costituirebbe una leva concorrenziale.
Dinanzi al processo di integrazione europea e alla sua evoluzione, in termini di dimensione (allargamento) e di rafforzamento, il nostro Paese non può dunque che sostenere e sviluppare la concorrenza, intesa come valore, bene giuridico, processo dinamico di crescita dell’economia e dell’occupazione, motore di sviluppo della produttività, e in definitiva del benessere per l’intera collettività. Se l’obiettivo generale è quello di rafforzare la competitività economica del nostro Paese, occorre compiere passi decisi sia verso una seria riforma della regolazione che verso una rigorosa applicazione della legislazione antitrust (enforcement).
La riforma della regolazione è necessaria per rimuovere a tutti i livelli di governo i vincoli normativi e amministrativi che ancora circondano, spesso in un recinto protezionista, interi settori dell’economia, dal credito alle assicurazioni, alle libere professioni, dal trasporto alla grande distribuzione, frenando lo sviluppo e la competitività del Paese. La riforma ovviamente non deve essere intesa come una liberalizzazione sfrenata, ma come un’attenta modulazione della disciplina delle attività, che valuti accuratamente gli impatti sul mercato che da essa possono derivare e la sua effettiva rispondenza a esigenze di interesse generale. In questo, l’Autorità ha svolto e continuerà a svolgere nei confronti delle istituzioni un ruolo di impulso e di promozione della concorrenza, soprattutto attraverso l’attività di segnalazione. I recenti provvedimenti sulle liberalizzazioni, che fanno seguito a quelli varati nello scorso anno, vanno in questa direzione. Si tratta di primi passi molto importanti, ai quali dovranno seguirne altri, soprattutto nei settori delle reti energetiche, laddove una maggiore concorrenza dovrebbe consentire di ridurre gli elevati costi di approvvigionamento che gravano pesantemente sulla competitività del sistema Paese.
Avere chiaro l’insieme di questi problemi – strutturali, normativi, amministrativi – può aiutare a individuare soluzioni concrete per rilanciare la nostra economia. In un quadro di obiettivi condivisi, la concorrenza non può che avere un ruolo di leva fondamentale dello sviluppo, che accomuni e avvicini pubblico e privato, orientando e guidando, oggi più di ieri, l’azione dei diversi soggetti e le politiche pubbliche.