Che cosa sta succedendo in Italia? Parlamentari di un grande partito personale si dimettono per protesta contro una condanna annunciata da anni che non ha trovato soluzione e rimedio. Macchiavelli diceva che non si doveva lasciar feriti i nemici, ma ucciderli, sennò il loro rancore sarebbe divenuto distruttivo quanto mai. La profezia si è avverata. Nonostante tutte le cautele invocate e implorate, i nodi son venuti al pettine. La distorsione paradigmatica dei poteri verso il potere giudiziario che ora potere è e non più è ordine, si è disvelato come elemento distruttivo appieno.
Certo, Berlusconi dovrebbe fare un passo indietro. Tutti lo dicono, ma nessuno si trova nella sua situazione, che è paradigmatica di una lenta e inesorabile distruzione della simmetria dei poteri di uno Stato moderno e di una disgregazione del rapporto tra giustizia e politica e potere della e nella politica medesima. Il governo vacilla e non pacifica più. Si divide, oscilla. Il presidente della Repubblica è una figura shakespeariana: Macbeth e Lear insieme si avvicendano per simularne lo strazio che rimane, unico e irraccontabile, come il silenzio osservato da Giorgio Napolitano nel corso della celebrazione di Bettino Craxi, che non a caso si è tenuta in questo stesso lasso di tempo. Esso così diviene un tempo simbolico carico di nubi e di ricordi e di bassi cieli plumbei sulla fine di uno Stato che non sa più ritrovare se stesso.
Nel mentre anche il Partito democratico non sa trovare se stesso: anch’esso oscilla tra partiti personali e aggregazioni residuali di spezzoni ex dorotei ed ex forze nuove… si fa per dire… naturalmente per metafora e non per serietà storiografica. Ma esso spreca cosi due occasioni storiche importantissime. La prima: la fine dell’unità politica dei cattolici, che invece che sole luminoso diviene mucillagine di potere. La seconda: la fine della cultura comunista sovietica, che invece che socialismo rivoluzionario o riformista diviene accomodamento che tutto dimentica in una lotta di potere solo personale. I pochi credenti sono dispersi e senza chiesa e senza dubbio, se la ricercheranno, dovranno prima trovare se stessi. Ma nel mentre, tuttavia, la divisione internazionale del lavoro non si arresta: è implacabile con le sue organizzazioni storiche planetarie per continuare la campagna d’Italia.
Anche qui sempre Machiavelli ci guida: per combattere Venezia si chiamarono i francesi e questi divennero un duro ostacolo che solo l’astuzia e la grandezza di un terribile pontefice riuscì a rintuzzare; ora manca questa astuzia e questa grandezza – ma non i piccoli pontefici, ahimè – e cosi francesi et similia bivaccano nelle ultime ciminiere che ancora fumano, nonostante il terrore giudiziario a cui sono soggette e le linee telefoniche fisse o non fisse che servono per tenere insieme non solo dati e voci, ma sicurezza e unità giuridica di una nazione: esse ululano al vento perché sono divelte.
Le banche controllate dalle fondazioni, ossia dalla nuova politica invisibile e personale delle confraternite, ritrovano improvvisamente il rigore dei conti! Proprio quando le armate giungono in pianura: banche e mediobanche si ritirano lasciando spazio ai nuovi occupanti. È un’altra forma di dimissioni. Non vi è che dire: è l’Anabasi il libro da leggere e da far leggere in un’Italia che si ritira perdendo se stessa.