Le elezioni europee in Italia, e la loro percezione nel Paese, viste da molto lontano sembrano strane e singolari. Nessuno dei partiti, dei commentatori, dei giornali parla di Europa, di politica europea, ma tutti confrontano i risultati di queste elezioni con quelli precedenti di politica interna italiana. Questi risultati sono infatti palesemente “un test elettorale”, una prova della forza relativa dei singoli partiti, dei diversi schieramenti, che non ha nulla a che fare con il parlamento europeo, l’Unione europea, la moneta europea o altro.
Infatti gli italiani, spesso idealisti a parole e realisti nei fatti, considerano questo parlamento europeo, senza troppi poteri, una specie di cimitero degli elefanti, dove mandare con una ricca pensione i politici che non hanno più spazio a Roma. Non a caso i parlamentari europei dell’Italia brillano per assenze e scarsa partecipazione.
Viene davvero da chiedersi che senso ha l’Europa, come progetto politico o anche economico-commerciale intorno all’euro o al mercato comune. O comunque è incerto che senso abbia un parlamento che conta meno dei parlamenti nazionali, e meno della commissione europea, nominata dai singoli governi e quindi priva di relazioni strutturali con la grande assise continentale. Di fatto, nella cruda realtà della percezione della politica nazionale, l’Europa sembra fuori dagli schermi radar. Questo può piacere o dispiacere, ma certo è una realtà con cui i politici dovrebbero fare i conti.
Se l’Europa politica non importa, ed è solo la politica nazionale che conta, l’Italia dovrebbe forse pensare la sua politica estera – verso gli altri continenti e verso il continente europeo – senza la finzione del parlamento Ue. Ma così non accade in Italia, che pare vivere in una specie di limbo politico in cui nessuno nega l’Europa, ma nessuno neanche la prende sul serio.
Tutto ciò è forse irrilevante per l’Italia, ma è molto importante per Paesi come la Cina che devono prendere le misure di cosa è la politica italiana e cosa è la politica europea con precisione, senza confondere impegni e rilevanze. Cioè se l’Italia parla per sé sarà una cosa, se invece lo fa il Parlamento dell’Europa sarà un’altra cosa.
Un altro fatto che desta interrogativi è il grande debito di democrazia che emerge in Europa. Il parlamento, eletto democraticamente, non ha poteri o sostanza, mentre funzionari di Bruxelles, più o meno governativi, promossi con sistemi molti simili a quelli dei funzionari del partito comunista cinese, o degli antichi mandarini dell’impero di Pechino, hanno poteri veri. Questo, visto da qui, fa chiedere ai cinesi cosa veramente intendano gli europei o gli occidentali per democrazia, quando censurano il sistema cinese ma di fatto usano in Europa un sistema molto simile a quello cinese.
Alla fine di questo ci sono poi i risultati politici italiani. Da qui la cosa che emerge davvero è che Berlusconi governa, che la parte più radicale della sua coalizione, la Lega, si rafforza, e l’opposizione si frantuma, premiando le formazioni minori, come quella di Di Pietro. I numeri di Lega e Di Pietro, 11 e 9 per cento sono tali da resistere ad ogni ipotesi di sbarramento, e provano l’insoddisfazione di una larga minoranza di italiani (almeno il 20 per cento) per un sistema rigidamente bipartitico.
Rispetto a questo il restante 70 e passa per cento può scegliere di convivere con minoranze più o meno riottose o “sopprimerle” per vie legali. Data l’attuale forza di ricatto di queste minoranze, e il loro successo elettorale, è probabile che il 70 e passa per cento dell’Italia debba rassegnarsi a uno scambio perenne con queste minoranze. Il dialogo con la Lega pare più facile di quello con Di Pietro, che ha la prospettiva reale di fagocitarsi tutta la sinistra, visto che il Pd ormai ha poco più del doppio dei suoi consensi.
Difficile stabilire se il voto che molti italiani, nel nord del Paese, hanno dato ora alla Lega sia un voto dato in passato alla formazione del premier. Pare certo che, al di là di slogan appariscenti e impolitici propri dei militanti, il successo della Lega rafforzi la posizione ultragovernativa del ministro dell’Economia Tremonti, che il patto con la Lega ha sempre voluto e del quale rimane il “garante”. Mentre il voto a Di Pietro è polemico, spacca e segna una deriva protestataria dell’elettorato, il voto alla Lega è pro governo e pro Tremonti, primo beneficiario del rafforzamento.
Questa è una buona notizia per il governo in carica. Per l’opposizione si è aperta una guerra interna, in cui Di Pietro cercherà di prevalere e il Pd dovrà difendersi. L’opposizione in realtà non avrà tempo di occuparsi veramente di “fare opposizione” e lo scontro con Berlusconi sarà solo lo schermo dello scontro interno. Berlusconi quindi potrà in realtà governare più o meno tranquillamente per alcuni anni, e questo potrebbe essere condizione buona per varare le tante riforme di cui l’Italia pare avere bisogno.