Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di “modello Lombardia”. Se in Italia si parla di sanità, di infrastrutture, di libertà di scelta, di efficienza dei servizi pubblici e della macchina amministrativa, di internazionalizzazione, di crescita economica, di modelli sussidiari di sviluppo e di welfare, di puntualità nei pagamenti della Pa, il pensiero corre subito ai primati e alle best practice della Lombardia. Quante volte, sfogliando i giornali che compulsano ricerche e analisi di diversi centri studi, ci si imbatte in espressioni del tipo, “ai prezzi (o ai costi) della Lombardia…”, e poi l’indicazione dei risparmi che si potrebbero ottenere rispetto a inefficienze o sprechi che si lamentano in altre parti d’Italia? Un esempio su tutti: nella sanità ancora oggi le province lombarde (lo certifica da anni la classifica sulla “Qualità della vita” elaborata dal Sole 24 Ore) sono massicciamente ai primi posti come capacità di attrarre, per la qualità dei servizi erogati, pazienti dalle altre regioni.
Il “modello Lombardia”, però, non è soltanto un benchmark virtuoso. È anche, e forse soprattutto, un esempio, concreto e chiaro, di quanto bene (sarebbe il caso di dire, “quanto bene comune”) possa fruttare la sussidiarietà, non tanto come principio ispiratore, quanto come metodo messo in atto. E questo “modello Lombardia” ha una data di nascita precisa (1995) e un “padre” riconosciuto: Roberto Formigoni.
In 18 anni di presidenza regionale, sotto la guida e la spinta di Formigoni, in Lombardia hanno infatti fatto prima capolino, e poi via via si sono radicati come prassi diffuse e consolidate, la libertà di scelta nella sanità (dando alle persone il diritto di scegliere il medico e l’ospedale in cui farsi curare), il buono scuola, la Dote scuola, il fattore famiglia, il fondo Nasko per contrastare concretamente l’aborto e il fondo Cresco, lo sviluppo del welfare e dei servizi, le varie forme di sostegno alle imprese e alla formazione di qualità, la Dote lavoro, la Dote formazione.
“Abbiamo iniziato a fare di Regione Lombardia – ha dichiarato Formigoni in un’intervista rilasciata proprio al Sussidiario – la regione della persona, della famiglia e delle opportunità per tutti”. Una regione che non si impone dall’alto, che non soffoca la società, che valorizza ciò che si costruisce dal basso, che dialoga con tutti i soggetti, con le associazioni, le famiglie, i corpi intermedi, le imprese e i Comuni. “La regione della sussidiarietà non soltanto annunciata, ma realizzata. La regione del merito, nella quale conta la sfida che ognuno fa a se stesso, sia che si tratti di studenti, di lavoratori, o di immigrati che vogliono lavorare. Proseguendo su questa direzione sarà possibile rovesciare 300 anni di storia basati sullo ‘Stato padrone’, che si impone ai cittadini invece di ascoltarli e aiutarli”.
Nel corso dei quattro mandati al Pirellone, Formigoni è riuscito anche in una mission impossible (almeno per gli standard italiani): “l’assassinio della burocrazia”, quel mostro che in tutta Italia tiene lontano gli investitori esteri, fa ammattire gli imprenditori, rende la vita complicata ai cittadini. Ebbene, la Lombardia è una regione “semplice, che costa sempre meno” (e anche in questo campo è all’avanguardia da anni, ben prima dei tanti tentativi di semplificare e deburocratizzare).
Proprio a partire dagli anni formigoniani, la Lombardia è diventata un caso di studio, “la regione della sussidiarietà” che mette al centro della politica non una visione da imporre, ma l’uomo, la sua iniziativa, la sua creatività, la sua intrapresa. “Ci interessano i cittadini che creano e costruiscono e dobbiamo sostenerli sempre di più” ha più volte dichiarato in varie interviste Formigoni, e proprio la sua “rivoluzione della sussidiarietà” ha fatto sì che la Lombardia entrasse di slancio tra i 4 motori d’Europa (assieme a Baviera, Catalogna e Ile de France) e diventasse una delle 15 regioni più dinamiche del mondo.
Al centro, sempre, l’uomo, la sussidiarietà, la famiglia, l’impresa, la capacità di rispondere ai bisogni valorizzando l’iniziativa dal basso, senza mai tradire la sua identità (da senatore, Formigoni ha saputo dire di no a divorzio breve e unioni civili, opponendosi al voto di fiducia chiesto da Renzi e Alfano). E a questo centro Formigoni ha guardato, nella politica e nell’amministrazione pubblica, in Lombardia. Ancora oggi, ridare voce e forza al centro, inteso come attenzione alla persona, alla famiglia, al ceto medio produttivo, è il compito che vuole portare in Parlamento, candidandosi, come capolista al Senato in Lombardia, nelle fila di “Noi con l’Italia-Udc”.
Alzi la mano chi non vorrebbe che questo modello, nato in Lombardia, non trovasse spazio anche nel resto d’Italia?