Una norma varata ad agosto prevede l’istituzione di un fondo per tagliare le tasse attraverso il monitoraggio della lotta all’evasione. Che, tuttavia, sarà attivo solamente dal 2014. Sarà, quindi, compito del prossimo governo, eventualmente, decidere di abbassare le tasse. Così il sottosegretario all’Economia, Vieri Ceriani, nel corso di una conferenza stampa, ha dato il triste annuncio. In sostanza, l’attuale compagine tecnica, ad abbassare le tasse, non ci pensa proprio. Non solo: l’Imu resterà invariata, al limite si stabilirà una ripartizione diversa tra Stato e Comuni. Infine, la delega fiscale sarà molto ridimensionata rispetto alle aspettative: «non è una riforma – ha detto Ceriani -, non ha l’ampiezza delle iniziative di riforma onnicomprensive. Le riforme di questo tipo si fanno una volta al secolo». Tutto questo, considerando che non è per nulla escluso che il prossimo esecutivo sarà guidato nuovamente da Monti, cosa comporterà? Lo abbiamo chiesto ad Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano.
Come vanno interpretate le parole Ceriani?
In maniera piuttosto allarmante. Si è, in sostanza, certificato che non vi è alcuna intenzione di ridurre le tasse ai cittadini. Non solo: affermando che la delega fiscale non rappresenterà una vera e propria riforma, dato che provvedimenti di questo genere si assumono una volta al secolo (il che non è vero!), Ceriani lascia intendere che non ci sarà alcuna correzione di rotta nella direzione dell’equità.
Cosa significa?
Oggi abbiamo cittadini vessati dal fisco e molti altri che ne sono beneficiati; molti soggetti, infatti, godono di una fiscalità attenuata, prevista dalla norme. Mi riferisco, ad esempio, al condono di Tremonti, che ha consentito di pagare solo il 5% di imposte sui capitali rientrati, mentre l’imposizione per un cittadino normale viaggia oltre il 50%; oppure, a tutte quelle storture che inficiano il principio della progressività; o al fatto che i lavoratori autonomi pagano le imposte sui redditi al netto dei costi di produzione, mentre i dipendenti le pagano sul lordo: i primi possono scalare dall’imponibile, ad esempio, una serie di costi quali l’automobile, mentre il dipendente non può scaricarli pur dovendosi recare a lavoro, magari, con i propri mezzi.
Che effetti produrrà l’atteggiamento del governo? Ha ragione Squinzi, stiamo morendo di fisco?
Direi di sì. Il Pil sta calando, anche a causa della manovra recessiva dello scorso dicembre, e continuerà a calare. Nel frattempo, il governo, che si sta dimostrando estremamente conservatore, continuerà a preservare lo status quo adempiendo, contestualmente, alle prescrizioni europee. Almeno sul piano formale. La ristrutturazione della delega fiscale, quindi, sarà guidata unicamente, così come la riforma delle pensioni, dalle ricerca del gettito, invece, che dall’equità.
Ma aumentare le tasse in questa maniera fa calare il gettito…
Infatti. Assistiamo a una logica suicida. Come è noto, impoverire i cittadini fa diminuire i consumi, mentre aumentare il carico fiscale fa sì che l’imponibile non venga più prodotto. Non è un caso, d’altro canto, che, negli ultimi dieci anni prima della recessione la stragrande maggioranza dei Paesi europei abbia diminuito le aliquote perché si è resa conto che, altrimenti, la crescita ne sarebbe risultata penalizzata.
Come è possibile che il governo non conosca queste regole basilari dell’economia?
Da insigni economisti, effettivamente, mi aspetterei che queste cose fossero note. Quindi, o la loro competenza effettiva è inferiore a quella che attribuiamo loro; o agiscono a prescindere da qualsivoglia deontologia professionale, con scarsa etica professionale e senza utilizzare le proprie compenteze effettive agli scopi cui sono stati preposti. Intendo dire che i provvedimenti che hanno assunto implicano minor fatica di tanti altri che avrebbero dovuto assumere.
Quali?
Avrebbero potuto manifestare l’intenzione di abbassare le tasse, ma, contestualmente, di far sì che tutti paghino almeno le aliquote più basse. Questo, tuttavia, implicherebbe la revisione delle rendite di posizioni e dei privilegi. Non è, contemporaneamente, comprensibile il fatto che non abbiano proceduto alla dismissione del patrimonio pubblico. Tanto più che il solo darne l’annuncio avrebbe sortito effetti significativi. I mercati internazionali avrebbero reagito positivamente al fatto che, da qui ai prossimi dieci anni, la presenza delle Stato nelle imprese pubbliche si sarebbe significativamente ridotta.