Forse ha ragione Renzi, “l’aria sta cambiando” e i segnali appaiono sempre più espliciti, e persino provocatori. Non sembra, infatti, un caso che dopo anni, forse lustri, sugli autorevoli “giornaloni” italiani tornino di gran moda temi dal sapore antico come il conflitto d’interessi di Berlusconi. E che ciò coincida — altro autorevole “articolone” — con la presa d’atto, non di una performance inarrestabile del capo di Arcore, che comunque avrebbe garantito da derive avventuristiche, ma bensì della constatazione di una ridiscesa in campo che, a differenza del passato e nonostante l’imperversare mediatico, non sfonda, anzi che rischia addirittura di portare acqua alle ambizioni lepeniste con cui l’establishment ha forse, improvvidamente, troppo scherzato. E che ora “insidiano il calcagno”. Da qui il netto “macchina indietro”!
Così, nella parte finale di una campagna elettorale triste e mortificante per tutti (elettori, candidati e istituzioni), la strategia di quelli che un tempo erano detti “poteri forti” e che sembrano puntare esplicitamente a un governo moderato e stabile (possibilmente senza Grasso e i suoi compagni) appare a doppio filo: da un lato, ridimensionare, senza volerlo liquidare com’era stato imprudentemente pianificato dopo il 4 dicembre 2016, il segretario del Pd per lasciare campo aperto al premier “(gentil)uomo”, aristocratico per indole e non solo per casato; sull’altro versante, rievocare i vecchi cavalli di battaglia dell’anti-berlusconismo per tentare di riportare nella “ditta” i consensi “sinistri” approdati da anni nelle fila dei 5 Stelle e agevolare il Paese verso una direzione di marcia riformista, moderata, sobria, decisa ma non irruenta e, soprattutto, credibile sul versante internazionale.
Insomma, sono suonate le trombe della paura: non quella (sia detto con estremo rispetto) dei “poveracci” su cui, da destra come dalla sinistra estrema, si specula da tempo triangolando sicurezza-lavoro-immigrazione, ma bensì dell’altra paura, quella delle consolidate posizioni che, con una deriva estremista o, per contro, con l’incompetenza al volante del Belpaese, rischierebbero molto.
Niente di strano né di nuovo. Tutto, drammaticamente, uguale a se stesso in un vuoto disarmante di politica: quella con la “P” maiuscola, che è autorevolezza non autorità, guida non comando, visione non improvvisazione, responsabilità non zizzania.